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dal nostro inviato

A Chicago arrivano gli Obama. Michelle si prende la scena e punta sul fattore mamme per lanciare Kamala

Michele Masneri

Il secondo giorno della Convention democratica è tutto a km zero. Parlano J.B. Pritzker e Sanders, ma gli applausi più lunghi sono per l'ex first lady, che tesse le lodi di Harris e attacca Trump. Mentre il marito Barack parla di internazionalismo e rilancia il ruolo degli Stati Uniti negli scenari globali

Chicago, dal nostro inviato. Il secondo giorno della Convention democratica è tutto a km zero. E’ infatti il trionfo di glorie locali. In serata quando cominciano a parlare i pezzi grossi prende la parola il governatore dello Stato dell’Illinois, J.B. Pritzker, esponente della dinastia legata al celebre premio di architettura, ma anche proprietaria di quasi tutto a Chicago compresa la catena di hotel Hyatt in uno dei quali si svolgono le conferenze del mattino della Convention.

Pritzker prende la parola subito dopo Bernie Sanders che fa Bernie Sanders, cioè dopo aver endorsato Kamala Harris si butta in una specie di maledizione biblica contro “big pharma, big tech, big health e tutti i miliardari in politica”, e poi va su Pritzker, pacioccone con la faccia da ricco, che comincia a sfottere pesantemente Trump non sulla politica ma su un territorio inusitato, quello dei soldi. “L’unica cosa in cui è ricco è la stupidità, ve lo assicuro. Lasciatevelo dire da un miliardario vero”. Il pubblico applaude. Poi parla il second gentleman che forse tra due mesi sarà primo, l’avvocato Doug Emhoff marito di Kamala Harris, incredibilmente spigliato e disinvolto come se non avesse mai fatto altro che parlare davanti a cinquantamila persone e svariati milioni di umani che seguono in televisione da ogni angolo del globo.

Racconta del “blind date” in cui ha incontrato la sua futura moglie e di come abbia cominciato a lasciarle dei goffi messaggi nella segreteria telefonica, messaggi che lei ora gli fa sentire ogni anniversario di nozze (a proposito, giovedì, quando la Convention finirà con l’incoronazione ufficiale di Harris come candidata, sarà proprio il loro decimo anniversario di nozze. Se non è un bel segnale questo). Poi saluta mamma e papà con la tv che la inquadra in tribuna.

E se gli Harris, californiani, non c’entrano con Chicago, il raccordo e trait d’union della serata sono proprio le mamme. Quando arriva il pezzo forte della serata, Michelle Obama, un applausone di un minuto e mezzo che sembrano venti accoglie lei, la più evocata, titillata, bramata in questa campagna elettorale, l’unica che sulla carta avrebbe permesso una vittoria schiacciante contro Trump. Ma anche la più silente, colei che finora si era poco o pochissimo pronunciata su Harris. Invece ora ne tesse gli elogi, puntando soprattutto sul fattore mamme. Evoca la sua, Marian Robinson, mancata qualche mese fa proprio a Chicago, e ricorda la mamma di Harris: destini simili, donne che hanno fatto tanti sacrifici per figlie i cui destini mai avrebbero potuto immaginare (la mamma di Harris era una scienziata indiana che avrebbe dovuto far ritorno in India per un matrimonio combinato, ma è rimasta in America e anche questo è sogno americano).

Poi Michelle Obama attacca Trump molto duramente: bisogna darsi da fare perché la vittoria non è per niente scontata. “Sapremo che distorcerà i fatti e la verità, l’ha sempre fatto. Perché ha avuto paura di due persone così istruite e di successo come noi” (è anche una serata motivazionale sul successo americano, sul gusto di fare carriera). Emhoff ricorda di quanto fossero poveri, di come per studiare si è mantenuto facendo il cameriere e il posteggiatore.

Per Michelle Trump è “small”, la sua visione del mondo è piccola, e “small” è l’aggettivo peggiore per l’America, dice.  Pensate un discorso simile in paesi come il nostro (con la retorica delle pmi, piccolo è bello). Poi il marito farà una battuta sibillina, dice che Trump è ossessionato dalle dimensioni… delle folle, precisa. Sottotesti e livelli di lettura nel paese che predilige comunque l’Xl. Parla di internazionalismo, rilancia il ruolo degli Stati Uniti negli scenari globali (di nuovo, le dimensioni contano). Anche lui tributa il suo ricordo alla suocera, che lo difendeva, dice, nei litigi con la moglie. E’ sempre Obama, però è canuto e dimagrito, balbetta anche un po’. E, rispetto a Michelle, sembra un po’ rimpicciolito.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).