John Fetterman - foto Ansa

Assenze

A Chicago manca Fetterman, con le idee chiarissime sul partito. E non si sente solo

Giulio Silvano

Alla Convention di Chicago ci sono tutti: dai Biden agli Obama, fino a Ocasio-Cortez. Assente invece John Fetterman, il "più grande difensore di Israele a Capitol Hill" dopo il 7 ottobre. Il motivo è la Palestina, la kefiha e gli "uncommitted"

I democratici sono tutti alla Convention di Chicago. Doveva essere una quattro giorni senza fronzoli, che certificasse il potere di Joe Biden, e invece con il suo ritiro è diventata una festona per spingere a oltranza – almeno fino a novembre – l’entusiasmo per la candidatura di Kamala Harris. Ci sono tutti: i Biden, gli Obama, Nancy Pelosi, la figliastra zillennial di Kamala, il reverendo Jesse Jackson, sindaci, governatori e sindacalisti, e pure Alexandra Ocasio-Cortez (AOC), la deputata millennial quasi socialista. Tutti lì tranne uno: John Fetterman, il gigantesco senatore in calzoni corti, l’Hulk della Pennsylvania che dal 7 ottobre è diventato il più grande difensore di Israele a Capitol Hill, pur non essendo ebreo, rappresentante di quella working class che il partito cerca di recuperare. Come diceva Nanni Moretti: mi si nota di più se vengo o se non vengo? “Le scuole non sono ancora aperte, e posso stare per quattro giorni in più coi miei figli”, ha detto il senatore Fetterman in un’intervista a Free Press, commentando la sua assenza nell’arena dove giocano i Chicago Bulls.
 

Eletto nel 2022, Fetterman ha spesso fatto parlare di sé, per le sue felpe smanicate e la sua depressione, per il suo ictus e per aver battuto il trumpiano di convenienza, il televisivo Dr. Oz, regalando la maggioranza in Senato ai democratici. Fetterman è stato fino all’ultimo il più grande difensore della candidatura del presidente Biden, tanto da entrare in conflitto con il New York Times, che ne chiedeva un passo indietro. E nell’ultimo anno è stata una delle voci più convincenti e accese contro quell’ala del partito che non riusciva a condannare del tutto Hamas, o che andava a fare compagnia agli studenti in kefiah nei campus delle università Ivy League. “Genocide John”, l’hanno chiamato, “un bullo”, hanno detto, mentre lui mostrava le ipocrisie di deputate come Ilhan Omar e Rashida Tlaib (parte della Squad di AOC) o l’assurdità di cercare una giustificazione nel raid del 7 ottobre, o criticando i 37 dem che non hanno votato il pacchetto di aiuti a Israele, o appiccicando con lo scotch davanti al suo ufficio senatoriale le foto degli ostaggi israeliani ancora nelle mani dei terroristi palestinesi. Quando i manifestanti pro pal sono andati davanti a casa sua lui è salito sul tetto sventolando la bandiera con la stella di Davide.
 

La frattura del partito si è intravista il primo giorno di convention con gli elettori “uncommitted” che si sono tappati la bocca in segno di protesta, e con le manifestazioni in strada di chi chiede un cambio di politica estera per  abbandonare Israele, un cessate il fuoco immediato, un embargo, uno stop alla vendita di armi. Rispetto a Joe Biden, Harris è apparsa pubblicamente meno vicina rispetto a Israele nel suo ruolo di vicepresidente, per quanto molto critica verso l’antisemitismo da campus e da strada – dopotutto suo marito Doug, ebreo, ha guidato un’operazione anti antisemitismo non ufficiale per conto della Casa Bianca.
 

Ma molti dei delegati uncommitted, dei musulmani del Michigan e dei gruppi pro Palestina, quando Harris è diventata la candidata al posto di Biden hanno tirato un sospiro di sollievo. Perché lei non era presente in Campidoglio quando a luglio Benjamin Netanyahu, il presidente israeliano, ha pronunciato il suo discorso. E perché ha detto più volte che non sarebbe stata in silenzio sulle morti dei civili. Ora, alla convention, l’elefante palestinese è l’unica vera ombra che rischia di oscurare i poster di Obey e la “brat summer”, perché quest’ala dem attende delle risposte che Harris aspetta a dare, mentre fuori i manifestanti dicono che quello democratico è il partito della guerra e del genocidio. Alcuni chiedono che qualche palestinese parli dal palco della DNC.
 

Fetterman, che dopo il passaggio di testimone ha anche lui appoggiato Kamala Harris, parlando anche a un comizio a Philadelphia in suo onore, dice che aveva deciso di non andare alla convention ancora prima che Biden venisse detronizzato. Visto inizialmente come volto del nuovo progressismo tendente a sinistra – in campagna era pro difesa Lgbtq+, pro diritti dei lavoratori – Fetterman dopo l’attacco di Hamas si definisce “un normale democratico”. Ha detto più volte che chi, sia repubblicani sia democratici, non è “dalla parte di Israele e dalla parte dell’Ucraina”, è debole di spirito, o è caduto nel tribalismo. “Non riguarda la politica americana, ma la democrazia”, ha detto. E la sua assenza da Chicago, assicura il senatore, non riguarda la solitudine che prova dentro un partito che, pur di non perdere voti, cerca di tentennare e di destreggiarsi tra kefiah e foto degli ostaggi.

Di più su questi argomenti: