Differenze

Chicago vs Milwaukee, partito e movimento: le due Convention a confronto

Marco Bardazzi

Sul palco dei democratici c’è un partito riunificato. A Milwaukee è andata in scena la scomparsa definitiva del Partito repubblicano, con la vecchia guardia che si tiene lontana da Trump come da un materiale radioattivo

Sarà anche superata e novecentesca come idea, ma a Chicago il partito sta dimostrando la sua solidità ed efficacia rispetto al movimento. A Milwaukee, nella convention dei repubblicani che ha santificato Donald Trump sopravvissuto a un attentato, si è visto tutto il potere di mobilitazione che può avere un movimento politico, in questo caso il Maga trumpiano (Make America Great Again). Ma sul palco di Chicago sta andando in scena la risposta del vecchio partito organizzato, pronto a serrare i ranghi e mandare segnali di unità, anche tra protagonisti che si sono appena accoltellati dietro le quinte. E questo ora è il vantaggio di Kamala Harris: ha alle spalle un partito che un mese fa era nel panico, ma adesso ha miracolosamente ritrovato se stesso. A metà del programma e in attesa che la vicepresidente salga sul palco per il discorso finale, l’assise dei democratici sta mandando segnali di un entusiasmo che nella corsa alla Casa Bianca 2024 sembrava esclusiva dei repubblicani. Al punto che adesso l’obiettivo del partito non è più solo spedire Kamala Harris nello Studio Ovale. Ma provare a prendersi tutto, Camera e Senato compresi (sembra molto difficile specialmente per il Senato).
 

È prematuro e ci sono ancora due mesi in cui può avvenire qualunque cosa, ma i sondaggi e il termometro dello United Center dove si svolge la convention stanno galvanizzando la base. Il merito del cambio di passo è in buona parte della “macchina” del partito, che nelle serate di Chicago mostra il proprio Dna nella sequenza di interventi previsti dal programma. Ecco così Joe Biden che raccoglie gli applausi sullo stesso palco dove salirà Nancy Pelosi, che lo ha fatto fuori, e dove ieri notte hanno parlato Barack e Michelle Obama, che hanno fatto la loro parte per alzare la pressione del partito e spingerlo a ritirarsi. Ecco Hillary Clinton, che aveva soffiato a Biden la candidatura nel 2016 (complice Obama) per poi perdere contro Trump. E poi Alexandria Ocasio-Cortez, che da sinistra ha difeso più di tutti un presidente che non ama, ma adesso si allinea pragmaticamente al nuovo corso. Ecco il senatore Chuck Schumer, decisivo nel convincere l’anziano leader a farsi da parte, spiegandogli che avrebbe fatto perdere al partito anche tutto il Congresso. Ecco Bill Clinton a benedire Kamala Harris nella veste di padre nobile di tutti i democratici. Se potesse, sul palco salirebbe volentieri anche Jimmy Carter, che attende la fine in un hospice, ma intanto a ottobre festeggerà i 100 anni e a novembre vuol andare a votare per Kamala. Ce l’ha fatta invece ad arrivare a Chicago il reverendo Jesse Jackson, candidato presidente negli ormai lontani 1984 e 1988, che è riuscito a fare un saluto seduto in sedia a rotelle.
 


La grande differenza tra Milwaukee e Chicago è questa. Sul palco dei democratici c’è un partito riunificato, con tanto di presidenti, ex candidati presidenti, speaker della Camera, leader delle varie correnti: tutta gente che si conosce da decenni, molto spesso non si ama, ma sa far quadrato quando serve. A Milwaukee è andata in scena la scomparsa definitiva del Partito repubblicano, con la vecchia guardia di George W. Bush, Dick Cheney, James Baker, Karl Rove o Mitt Romney che si tiene lontana da Trump come da un materiale radioattivo. In casa repubblicana domina il movimento politico a uso personale, tutto incentrato sul leader carismatico. L’ultima volta che i democratici sono riusciti a creare un movimento fu nel 2008, nella campagna elettorale che portò al trionfo di Barack Obama. Ma proprio lui, l’ex presidente che la notte scorsa ha parlato al popolo progressista nella sua Chicago, adesso ha piazzato i suoi ex strateghi nel team della Harris per fare ordine e cercare di frenare le spinte movimentiste di chi la vuole “obamizzare” troppo. Ci sta riuscendo solo in parte, visto il ritratto di Kamala in stile Obama che tappezza le strade di Chicago, realizzato dall’artista Shepard Fairey sullo stile di quello celebre del candidato del 2008. A due mesi dal voto però bisogna essere pragmatici e spietati per vincere, non c’è tempo per i grandi ideali e forse non è più la stagione politica giusta. C’è da fare i conti con il populismo imperante e allora meglio spingere proposte discutibili come il tetto ai prezzi alimentari al dettaglio – un cavallo di battaglia della Harris che ha fatto inorridire anche economisti amici – che non riproporre parole d’ordine come “hope” e “change” di quindici anni fa. Ancora poche settimane e sapremo se a vincere sarà il partito o il movimento.