L'ex presidente Bill Clinton alla convention di Chicago (LaPresse)

giorno 3

Dai Clinton a Tim Walz e Buttigieg. A Chicago il ricambio generazionale passa per una friggitrice ad aria

Michele Masneri

La friggitrice diventa la parola chiave della terza giornata della convention democratica, più di "gioia" e "classe media".  Sul palco si alternano volti storici ed esponenti in ascesa, in una sorta di passaggio del testimone. Oggi il gran finale con l’accettazione della nomination da parte di Harris

Giorno tre. New normal, ricambio generazionale, e friggitrice elettrica. C’è una parola che ha risuonato negli animi delle migliaia di spettatori seduti sugli spalti dello United Center di Chicago per la terza e penultima sera di Convention democratica. Non è “gioia”, invocata dal vecchio Clinton in contrapposizione alle tenebre trumpiane, non è “classe media”, ben scandita dal governatore del Minnesota e forse prossimo vicepresidente Tim Walz (in contrapposizione ai tagli di tasse ai super ricchi del Grand Old Party). È: friggitrice ad aria.

Quell’aggeggio che sta all’oggi come il microonde agli anni Sessanta e che Pete Buttigieg, il più applaudito della serata, il più efficace degli oratori, ha pronunciato in una narrazione di sé ormai consolidata e vincente: io, gay, veterano di guerra, ma soprattutto papà normale, la vita vera è quella che si svolge a casa mia e di mio marito la sera, coi bambini e appunto la friggitrice ad aria. Il new normal di questa generazione di Democratici così passa da queste famiglie che chiedono “free reproductive rights”, cioè i figli li facciamo come ci pare, e il governo deve stare “fuori dalla camera da letto”, come ha detto Tim Walz, lui stesso autore di due figli con l’eterologa che Trump vorrebbe impedire, e i figli erano lì a festeggiarlo.

Padri e figli anche in senso generazionale in una serata che ha visto sfilare due mostri sacri del partito dell’Asinello, il vecchio Bill Clinton incanutito e dalla verve un po’ appassita che ha fatto sembrare il suo discorso lunghissimo, ma è pur sempre il caro vecchio Bill (“e rimango comunque più giovane di Trump”, ha detto). E poi Nancy Pelosi, speaker emerita, cuore italoamericano e cervello di California, considerata una delle artefici di questa partita, invece breve e pratica, in poche parole e uno dei suoi innumerevoli tailleur pastello. Dall’altra parte c’è stata una specie di passaggio del testimone a una serie di leader nuovi e brillanti: Buttigieg, per primo, che ha solo 42 anni, ma poi il 45 enne governatore del Maryland Wes Moore, e quello che Pelosi ha indicato come suo successore, Hakeem Jeffries, 54enne capogruppo democratico alla Camera, e poi quella specie di fotocopia di Obama da giovane, Joshua Shapiro, cinquantunenne governatore della Pennsylvania. Per non parlare di tutte le donne che si sono succedute nei giorni scorsi sul palco, spesso con storie di integrazione alle spalle, cresciute nell’ombra e improvvisamente sbocciate al sole di Kamala.

A proposito: le donne in politica evidentemente invecchiano meglio degli uomini. Non solo Michelle Obama ha stracciato il marito nella serata di martedì, apparendo più efficace e sicura, ma anche tra Hillary e Bill Clinton non c’è gara. Sia le nuove che le vecchie generazioni poi sembrano convergere su una agenda fluida: non si capisce bene quali siano le coordinate di politica estera o di economia o d’altro, in questa campagna elettorale che per ora sceglie d’essere un po’ tutto e il contrario di tutto, con un grande nemico, Donald Trump, considerato “strano” ma anche “pericoloso”, come ha detto Walz.

Una campagna dove forse basta stare dalla parte giusta (speriamo che funzioni). Una lotta dove da una parte c’è il “buon senso” e dall’altra il “nonsense” come ha detto la star della serata, Oprah Winfrey, apparsa a sorpresa nella penultima sera in rappresentanza di unoshow business democratico che si è voluto tenere un po’ sottotraccia (anche questo è new normal). Oggi il gran finale con l’accettazione della nomination da parte di Kamala Harris, in un partito che è una grande tenda che tiene insieme tutto, da Alexandria Ocasio-Cortez ai repubblicani pentiti (una tenda dove non può mancare la friggitrice elettrica, vabbè).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).