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La "nuova strada" di Kamala Harris

Marco Bardazzi

La Convention dei democratici si è chiusa con il discorso della candidata alla Casa Bianca: “America, dimostriamo l’uno all’altro, e al mondo, chi siamo e cosa rappresentiamo: libertà, opportunità, compassione, dignità, equità e infinite possibilità”

Kamala Harris indossa il mantello del cambiamento e chiede all’America di darle fiducia per unire il paese e imboccare “una nuova strada da seguire, invece di tornare indietro”. Dopo quattro giorni dedicati a costruire il profilo di una candidata alla Casa Bianca che è in corsa da solo un mese, la Convention dei democratici si è chiusa nella notte a Chicago con il discorso della protagonista, accompagnato da un entusiasmo impensabile solo poche settimane fa.

A 74 giorni dal voto, la Harris esce dalla convention in testa nei sondaggi nazionali e soprattutto dopo aver riaperto la competizione nei sette stati in bilico che decideranno le elezioni. La vicepresidente, scesa in campo al posto di Joe Biden per cercare di fermare Donald Trump, da Chicago si è presentata al paese nel discorso più importante della sua vita. Un intervento breve per i tempi delle convention (35 minuti, contro gli oltre 90 di Trump a luglio), nel quale si è rivelata particolarmente efficace, a tratti “obamiana”, soprattutto nel raccontare la propria storia di figlia di immigrati.

La parte biografica del discorso è stata la più convincente, anche per la scelta di lasciar parlare i fatti senza porre enfasi sul significato storico della candidatura di una donna, nera e discendente di indiani. È proprio puntando sul proprio percorso personale che Kamala Harris ha lanciato un appello all’ottimismo e all’unione a un paese oggi profondamente diviso: “America, dimostriamo l’uno all’altro, e al mondo, chi siamo e cosa rappresentiamo: libertà, opportunità, compassione, dignità, equità e infinite possibilità”.

     

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Una proposta che la Harris ha accompagnato in ogni momento con un confronto diretto con l’alternativa offerta da Trump, “un uomo poco serio che va preso sul serio”. Nel ricordare la recente sentenza della Corte Suprema che garantisce immunità ai presidenti per gli atti che compiono mentre sono in carica, Kamala Harris ha alzato la voce nel lanciare l’allarme agli americani: “Considerate cosa intende fare se gli diamo di nuovo il potere. Considerate il suo intento esplicito di liberare gli estremisti violenti che hanno aggredito gli agenti al Capitol. Il suo intento esplicito di incarcerare giornalisti, oppositori politici e chiunque consideri un nemico. Il suo intento esplicito di schierare le nostre forze armate contro i nostri stessi cittadini”.

“Immaginate”, ha detto, in uno dei momenti più potenti del discorso “un Donald Trump senza guardrail”. La vicepresidente si è proposta come l’alternativa rassicurante a tutto questo, al termine di una serata nella quale, per avvalorare le sue credenziali di Commander in Chief, sono sfilati militari, forze dell’ordine, madri di vittime di sparatorie, l’ex deputata Gabby Giffords sopravvissuta a un attentato e l’ex capo del Pentagono e della Cia Leon Panetta, che l’ha indicata come la scelta più temuta da Vladimir Putin e dal regime iraniano.

Su ciò che di concreto intende fare, in politica interna ed estera, Kamala Harris non è scesa molto nei dettagli. La sua campagna, costruita in fretta e in emergenza, per ora è una prosecuzione di quella di Biden, con la differenza di essere guidata da un personaggio completamente diverso: una politica pragmatica, non ideologica, che punta a risolvere i problemi, ma non propone grandi visioni ideali su dove vuole condurre il paese e il mondo. Allo stesso tempo però, la Harris si presenta come il candidato “del cambiamento” – pur essendo la vicepresidente in carica – e cerca di dipingere Trump come un ritorno al passato, provando a toglierli l’arma di chi da anni si presenta come personaggio esterno all’establishment.

Sull’economia la Harris si è proposta come paladina della classe media, mettendo in guardia sui rischi che correrebbe se Trump attuasse le proprie proposte in tema di tagli fiscali ai ricchi e di tassazione delle importazioni. Il tema dell’immigrazione, sul quale è più vulnerabile agli attacchi dei repubblicani, lo ha affrontato soprattutto sul piano della sicurezza e della garanzia di proteggere il confine, lasciando anche in questo caso alla propria biografia parlare da sola per quel che riguarda l’accoglienza.

È stato il discorso conclusivo di una convention in cui si è parlato di più di aborto, il tema su cui la Harris ha dettagliato maggiormente le proprie idee. Per i democratici è il cavallo di battaglia che sperano possa mobilitare politicamente soprattutto le donne.

     

   

Non molto consistente, ma preciso nei messaggi, il capitolo della politica estera. A Putin, la Harris ha mandato un segnale senza equivoci e in piena continuità con le scelte di Biden: "Come presidente, starò con forza al fianco dell'Ucraina e dei nostri alleati della Nato". Sul Medio Oriente, ha ribadito la vicinanza americana a Israele, rassicurandolo sull’impegno di Washington per garantirne la sicurezza anche di fronte alle minacce dell’Iran. Ma rispetto a Biden, la Harris è apparsa più empatica nei confronti delle sofferenze del popolo palestinese: un tributo necessario anche politicamente, viste le proteste di una parte del suo partito per quello che viene percepito come un impegno insufficiente a mettere fine alla guerra a Gaza.

“La portata della sofferenza a Gaza è straziante”, ha detto la candidata. “Il presidente Biden ed io stiamo lavorando per porre fine a questa guerra in modo che Israele sia sicuro, gli ostaggi vengano rilasciati, la sofferenza a Gaza finisca e il popolo palestinese possa realizzare il proprio diritto alla dignità, alla sicurezza, alla libertà e all’autodeterminazione”.