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Presidenziali Usa

Quella di Chicago è una convention destinata a diventare la Woodstock di un'America ritrovata

Stefano Pistolini

Sembra che i democratici statunitensi stiano vivendo notti magiche sotto il cielo della Windy City: bagno di folla per Harris, esaltata dai volti celebri invitati sul palco, con una colonna sonora che rinvigorisce quel sogno americano che Trump cerca di scalzare

La musica è nostra. Tutto l’oceano della cultura popolare che include nei suoi panorami una settantina d’anni d’emozioni musicali, appartiene di diritto a una certa visione dell’America, che sa essere aperta, ottimista, progressista, speranzosa, empatica. È la temperie rappresentativa che la memorabile Convention nazionale democratica 2024, destinata a sospingere Kamala Harris verso la Casa Bianca, insiste nel proporre alla nazione, col preciso, sonoro invito a riconoscere e a riconoscersi. Noi siamo quelli che hanno fatto del nostro paese un faro etico, un modello invidiato dal resto del mondo, siamo quelli che nel momento d’oro – ricordate i potenti anni a fine Novecento, quando tutto sembrava destinato ad assumere la forma migliore? – siamo cresciuti con questi suoni meravigliosi, queste figure eroiche, queste novità che ci elettrizzavano, tutti insieme. È ora di ricordarci chi siamo e da dove veniamo e di riprendere il cammino, spazzando via la sagoma di Donald Trump, icona di un incubo ricorrente, che da qualche tempo sta scalzando il nostro rinomato sogno comune, il sogno americano appunto. Per questo motivo, la Dnc 2024 ha un suono musicale, forte e importante, che chiama a raccolta. Del resto quando sul palco sfila la migliore élite dei boomers, i coniugi Clinton, Joe Biden, perfino quelli già “post” come gli Obamas, la musica dev’esserci e in grande stile, perché è stata parte importante della loro vita, del loro modo di descriversi, e perché ascoltarli parlare ha davvero una risonanza musicale. Davvero una messa cantata, celebrando il miracoloso ricongiungimento  coinciso con il passaggio di testimone Biden-Harris e con la formidabile confluenza di volontà che da lì si è generata sotto le insegne dell’anti trumpismo e con l’invocazione di un “risveglio” dai riflessi religiosi. Il culto è quello dello splendore americano, del suo potere evolutivo. 


E allora è rinfrancante commuoversi tutti insieme sentendo risuonare le note del mito, si tratti di un 75enne Stephen Stills, che intona la più democratica delle rock song, For What It’s Worth (Stop, Hey, What’s That Sound?), scritta nel magico ‘67 per i suoi Buffalo Springfield. Da lì spingendosi anche più avanti, affrontando il passaggio più delicato delle affiliazioni tra musica e politica, entrando nel territorio del Country, musica nata per celebrare l’orgoglio d’essere americani che Trump ha strumentalmente trasformato nel proprio slogan-guida. Ma alla Dnc 2024 si è voluto raccogliere il guanto di sfida: macché musica della tradizione,  il Country cambia come cambia la nazione che rispecchia, e allora noi dem mettiamo sul palco artisti come Jason Isbell, Mickey Guyton e quelle Chicks che vennero scomunicate per aver criticato Bush, per mostrare ai più scettici che anche il Country del paese profondo non deve avere paura di ascoltare le onde del revival democratico, uno degli eventi che più ci hanno sorpreso della recente America. E se è un dispiacere aver visto lunedì un anziano quanto smagliante James Taylor provare nel pomeriggio della convention una versione raffinatissima del suo cavallo di battaglia You’ve got a friend, salvo non poterlo presentare nel programma serale, per i ritardi che avrebbero mandato fuori tempo massimo l’intervento melò di Biden, non si è certo trascurato di dare lo spazio necessario a una degna rappresentanza della black music, Patti Labelle, Leon Bridges, il rapper chicagoense Common, l’ultrà progressista John Legend, col gusto di rinverdire la Casa Bianca più soul della storia, quella di Barack e Michelle. E, altrettanto, l’entusiasmo elettrico chiamerà a raccolta i giovanissimi elettori, con l’icona della fluidità Billie Eilish, e poi chissà. 


Chissà se per dare l’ultima spallata pop a Trump serviranno Beyoncé e Taylor Swift, icone supreme del modo più moderno d’essere orgogliosi di sentirsi americani. Donald, ridimensionato alla misura di uno scomposto urlatore, ha finto che Taylor fosse dalla parte sua, con un penosissimo fake. L’hanno sbugiardato, gli hanno lasciato solo Elon Musk e un eventuale, sospiratissimo endorsement della Swift per Kamala, avrebbe davvero il potere di seppellirlo, spostando ancora di qualche grado il vantaggio della Harris. Perché, ora con le  luci ormai abbassate e gli amplificatori sono spenti, questa convention 2024 è destinata a diventare la Woodstock di un’America ritrovata. Di lì in avanti, tenere vivo lo “spirito” sarà la vera scommessa dei dem. L’America del mugugno ha assistito con fastidio a questo scintillare di stelle e a queste risuonare di classici evergreen. Quando la vita tornerà a essere la solita, la memoria di questa commozione dovrà avere la forza di tenere a bada le insinuazioni della rabbia.