Kursk vista da Sumy

Nella regione ucraina dove parte l'offensiva in Russia, tra sfollati, scettici e militari sempre pronti

Kristina Berdynskykh

Oleksandr Babich ha lasciato la Crimea perché non era d’accordo con la politica di Putin e perché era stanco di tacere. È arrivato a Sumy il 4 agosto, due giorni prima dell’inizio dell’operazione Kursk: "Ci hanno distrutto la terra e ora noi stiamo facendo lo stesso con la loro"

Sumy. Il 7 agosto, il giorno dopo che l’Ucraina ha sfondato il confine russo e ha iniziato le operazioni nell’oblast russa di Kursk, è stata annunciata l’evacuazione obbligatoria in 23 villaggi della regione ucraina di Sumy. La Russia prima sparava contro di loro con mortai e artiglieria, ma ora questi villaggi vengono distrutti dalle bombe, dice un anziano del villaggio di Zalissya, a tre chilometri dal confine russo. Come molti altri, anche lui se ne è dovuto andare. Si trova nella città di Sumy, ha già completato tutti i documenti necessari e ha ricevuto lo status di migrante, ma, rischiando la vita, continua ogni tanto a recarsi nel suo villaggio per portare fuori le ultime cose da casa  e dare da mangiare alle galline e alle anatre. L’uomo sostiene l’incursione e l’aumento delle ostilità verso il territorio russo, da cui provengono le bombe per distruggere la sua casa: “Penso che l’offensiva  ci aiuterà”, dice sulla soglia del centro di volontariato, che ormai accoglie ogni giorno un grande flusso di sfollati. Oleksandr Babich, 41 anni, che si muove su  una sedia a rotelle, ha parlato di ciò che ha vissuto nelle ultime tre settimane. Attualmente vive in un pensionato gestito da volontari, ma presto si trasferirà in un dormitorio. È arrivato a Sumy il 4 agosto, due giorni prima dell’inizio dell’operazione Kursk.  

 

Prima, Babich viveva a Sebastopoli in Crimea e successivamente ha deciso di partire per il territorio controllato dall’Ucraina. Ha viaggiato in autobus da Sebastopoli alla russa Krasnodar. Poi ha preso il treno per Rostov sul Don. Da Rostov sul Don in treno fino a Belgorod. E da Belgorod è arrivato in autobus fino alla zona di confine. Negli ultimi 20 chilometri si è spostato sulla sua sedia a rotelle elettrica fino all’unico valico di frontiera tra Russia e Ucraina, che ancora era funzionante. Ora è chiuso. Babich è felice di essere riuscito a entrare nel territorio della regione di Sumy prima che iniziassero gli ultimi eventi. Ha lasciato la Crimea perché non era d’accordo con la politica di Putin e perché era stanco di tacere. In Crimea è pericoloso esprimere la propria opinione anche sui social network. “Per aver detto ‘Gloria all’Ucraina’ nella migliore delle ipotesi si riceve una multa e, nella peggiore delle ipotesi, l’arresto”, spiega al Foglio. Arrivato a Sumy, all’inizio aveva paura di parlare russo: in Crimea guardava i canali televisivi russi, che lo avevano convinto che gli ucraini uccidono per l’utilizzo di una lingua diversa dalla loro.  Ma durante le tre settimane trascorse a Sumy, Babich ha capito che non avrebbe avuto nessun problema per essere un ucraino russofono. Per quanto riguarda l’operazione Kursk, è convinto che l’Ucraina stia facendo tutto bene. “Ci hanno distrutto la terra e ora noi stiamo facendo lo stesso con la loro. Dovrebbe essere così”, dice Oleksandr.

 

Ma a Sumy, una città di 250.000 abitanti a 30 chilometri dal confine russo, non tutti sono stati così accoglienti nei confronti dell’invasione della Russia da parte dell’Ucraina. Svetlana, 40 anni, commessa di un negozio, afferma che il numero degli allarmi è ora aumentato in modo significativo. Recentemente, un missile Iskander è caduto su un parcheggio vicino a casa sua. “Non so se i nostri militari stanno facendo la cosa giusta con Kursk. Io voglio la tranquillità”, ammette. Lungo le strade di Sumy, oltre al trasporto urbano, circolano Suv polverosi dai colori scuri. Hanno triangoli di nastro bianco incollati sui parabrezza. Si tratta di un segnale che indica che i militari seduti nell’auto si stanno dirigendo verso il territorio russo, verso la regione di Kursk. Uno dei soldati che combattono lì, a tarda sera, si mette in contatto e dice che spostare la guerra in territorio nemico è un passo obbligato e necessario. Ha saputo che la sua unità sarebbe stata inviata in Russia pochi giorni dopo l’inizio dell’attacco ucraino. Combattendo nella regione di Kursk, l’esercito ucraino deve affrontare gli stessi problemi che affronta lungo la linea del fronte: mancanza di uomini e munizioni. “Non abbiamo molta forza per esercitare pressione sul nemico”, dice. Allo stesso tempo, l’avanzata dell’esercito ucraino, sebbene abbia rallentato, non si è fermata e, grazie alla distruzione dei ponti attorno al fiume Seim, le forze dell’esercito russo sono state circondate, spiega il militare.

 

Putin non trasferisce grandi riserve per proteggere il suo territorio e invia coscritti e unità non coordinate nella direzione di Kursk. Continua a concentrarsi sulla conquista dei territori ucraini nel Donbas, con l’esercito russo che si avvicina rapidamente a Pokrovsk. Roman Kostenko, membro del Parlamento ucraino e membro della commissione parlamentare per la Sicurezza nazionale, la difesa e l’intelligence, è fiducioso che la Russia dovrà comunque utilizzare riserve aggiuntive per proteggere il proprio territorio. Per ora possiamo parlare dei risultati intermedi dell’operazione Kursk: la cattura di un gran numero di prigionieri russi e il passaggio dell’iniziativa dalla parte dell’Ucraina. “Si tratta della lotta per l’indipendenza, possiamo agire con molto coraggio”, conclude.

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