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Presidenziali americane

Trump non prende bene la convention dem e telefona alla Fox per lamentarsi

Giulio Silvano

Mentre Chicago si colora di blu fra concerti, icone dello showbiz e un'enorme mobilitazione social per Kamala Harris, il candidato repubblicano ingolfa il suo profilo Truth di post critici e video che mostrificano l'avversaria: un feroce tentativo di non spegnere i riflettori su di sé

Mentre a Chicago andava avanti il grande dem pride e Kamala Harris veniva confermata la candidata del partito per le presidenziali di novembre, Donald Trump commentava tutto in diretta sul suo profilo di Truth Social. Come una Gialappa’s invidiosa e complottista, Trump ha cercato di distruggere con una lunga serie di post quel ritrovato entusiasmo dei progressisti dopo la depressione bideniana. “Sta parlando di me?”, ha scritto a un certo punto, tutto in maiuscolo, riferendosi a una frase di Harris. “Dov’è Hunter?”, ha chiesto poi, riferendosi al figlio di Joe Biden, feticcio del popolo Maga. Trump ha anche cercato di fare fact checking sul candidato vice, il governatore Tim Walz: “Non era un allenatore di football, era assistente allenatore”. Ha detto che Kamala ha ringraziato troppo il pubblico e che ha parlato eccessivamente della sua infanzia.


Il candidato del Partito repubblicano non sopporta lo spazio che si è presa Kamala su giornali, riviste e Tv dal ritiro di Joe Biden – di recente ha anche criticato l’immagine sulla copertina di Time della vicepresidente che appare, secondo lui, “troppo bella” –  ritiro che ha anche cancellato l’hype intorno al suo tentativo di assassinio. Nella sua big night, giovedì, Kamala ha descritto Trump come un uomo “non serio”, uno che si umilia di fronte ai dittatori, uno che sta tradendo i valori americani. E così dopo la valanga di post live, Trump ha telefonato ai suoi amici di Fox News, il canale di Rupert Murdoch che per anni lo ha aiutato ad allargare la sua base elettorale. Mentre cadevano i palloncini rossi, bianchi e blu sul popolo dem, su Oprah, su John Legend, su Bruce Springsteen, Trump ha detto in diretta telefonica alla Fox: “Le cose che Harris dice potrebbe già farle, dato che è vicepresidente”. Quando hanno cercato di fargli notare che Harris sta andando bene nei sondaggi, soprattutto con l’elettorato femminile, afroamericano e ispanico, Trump ha risposto: “Non è vero, non sta avendo successo, io invece sì. Io sto andando benissimo con gli elettori ispanici, con gli uomini neri e con le donne, benissimo”. Trump è andato avanti per dieci minuti buoni mentre i giornalisti della Fox cercavano inutilmente di interromperlo, costretti a farlo quando è finito il programma. E quando è andato in onda quello successivo, il presentatore si è lasciato scappare: “Probabilmente sta ancora parlando da solo”


Da quando i democratici hanno un nuovo candidato, da quando non funziona più la storia del “vecchio Joe”, la campagna trumpiana sembra essersi impaludata. Gli stessi supporter del 45esimo presidente commentano sui social chiedendo un cambio di strategia – basta attaccare Kamala per la razza, basta nomignoli idioti che non funzionano, dicono – e molti alleati di estrema destra abbandonano la barca convinti che Trump vada verso una catastrofica sconfitta. Ma c’è della verità in quello che Trump ha detto nella sua convulsa telefonata agli amici della Fox: cioè che Harris “non ha parlato di Cina, di deficit, di crimine”. E’ vero che alla convention democratica si è parlato tantissimo di Trump, e del fantomatico programma iperconservatore che i trumpiani metterebbero in pratica, quel Project 2025 che porterebbe tra le altre cose allo smantellamento del dipartimento dell’istruzione, un divieto totale della pornografia e la “distruzione dell’ideologia woke”.  


Trump non ha tutti i torti. La convention di Chicago è stata in gran parte costruita intorno a lui, e alla paura che i democratici cercano di mostrare all’elettorato su un suo possibile mefistofelico ritorno. E infatti molti ospiti sono stati invitati solo per metterlo in cattiva luce: repubblicani convertiti, vittime delle leggi sull’aborto, ex collaboratori di Washington pentiti, o i Central Park Five che hanno detto: “Abbiamo passato la gioventù in carcere per colpa di Donald Trump”. La quattro giorni nell’arena dei Chicago Bulls è servita in gran parte a ricordare che Trump alla Casa Bianca potrebbe distruggere diritti e democrazia. Si è evitato di parlare troppo del medio oriente, tema che divide il partito, come si è visto con alcune proteste di attivisti pro Palestina, e di proporre una vera agenda politica per i quattro anni a venire.  Dopo la convention il programma dem non è molto chiaro, se non che Kamala sta riuscendo a ottenere l’attenzione di tutti, a prescindere dalla debolezza delle sue proposte, e che Trump, anche quando ha ragione, appare come un vecchio ripetitivo che telefona all’unica rete amica per lamentarsi.