medio oriente

Dopo la vendetta di Hezbollah, si fa avanti l'Iran

Micol Flammini

Anche Teheran ricorda di aver promesso una ritorsione (per l'eliminazione di Haniyeh). L'effetto della deterrenza di Israele e due timori: uno storico e uno strategico

L’8 ottobre 2023, Hezbollah si è unito alla guerra di Hamas contro Israele, ha aperto un fronte nel nord dello stato ebraico, ha costretto oltre sessantamila cittadini israeliani a lasciare le loro case, ha sparato più di ottomila razzi. Ha minacciato costantemente di volere una guerra più grande, di essere pronto ad alzare la tensione in medio oriente, ma poi, domenica, dopo aver lanciato più di trecento fra razzi e droni, ha fatto un passo indietro. Il suo leader, Hassan Nasrallah, parlando alla nazione, ha rivendicato un successo che sul campo non esiste: dopo l’attacco preventivo di Israele contro i lanciamissili pronti a colpire, Hezbollah ha reagito in modo massiccio ma confuso, rivendicando però che la vendetta per l’uccisione del leader Fuad Shukr, ucciso a Beirut a fine luglio da un drone israeliano, è stata fatta. L’Iran  deve ancora vendicarsi per l’uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, eliminato a Teheran mentre era ospite dei pasdaran e, dopo settimane trascorse a rimandare, dopo lo sfogo di razzi  messo in scena da Hezbollah, ha ricordato che non intende dimenticarsi della sua vendetta. Israele ha perso tutta la sua capacità di deterrenza il 7 ottobre e ha cercato di recuperarla non a parole, ma con i fatti: gli omicidi mirati contro leader di Hezbollah, dei pasdaran, di Hamas e l’attacco preventivo di domenica per limitare i danni della ritorsione del gruppo libanese sono alcune delle tappe di questa corsa alla deterrenza. I nemici dello stato ebraico hanno capito che l’intelligence  e l’esercito  stanno recuperando capacità, si sono riorganizzati velocemente e la risposta del leader di Hezbollah, la rivendicazione di un successo che non esiste, ha suscitato la derisione di parte del mondo arabo: simpatizzanti del gruppo per fornire prove  del danno inflitto a Israele hanno pubblicato immagini di pollai in fiamme, la risposta di scherno è stata un florilegio di fotomontaggi di Nasrallah tra i polli. In Israele in questo momento le preoccupazioni sono due, la prima è tutta interna, ha a che fare con l’umore e il carattere nazionale, la seconda è militare ed è condivisa dai suoi alleati. Dopo la capacità di ristabilire il suo potere di deterrenza a gran velocità, il rischio è che Israele perda la concentrazione e si generi un effetto di vanagloria simile a quello che dopo la Guerra dei sei giorni portò agli errori commessi  durante la  guerra dello Yom Kippur: era un altro Israele, ma nel piccolo è un errore che si potrebbe ripetere. La seconda preoccupazione riguarda quello che nel gergo di Tsahal un tempo veniva chiamato “il soldato strategico” e oggi è stato ribattezzato “il razzo strategico”. Il concetto del “soldato strategico” era legato al possibile errore del singolo che sul campo di battaglia può generare un conflitto più vasto. Il “razzo strategico” ha la stessa potenzialità: Israele grazie alle sue alleanze ha la capacità di difendersi e, anche se i lanci di Hezbollah questa volta sono finiti tra i pollai (tra i nuovi appellativi del gruppo è spuntato Hfc al posto di Kfc), la prossima  potrebbero  colpire i civili: ed è l’errore, più che l’intenzionalità, che a questo punto nella scala di minacce preoccupa di più. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)