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a bruxelles

Lo sgarbo a von der Leyen sulle donne indebolisce la Commissione

David Carretta

La prossima Commissione europea potrebbe essere composta da più uomini e meno donne di quella uscente, nonostante l'impegno e le promesse di Ursula. Il punto a tre giorni dalla scadenza per la designazione dei commissari 

Bruxelles. L’inizio della Commissione von der Leyen II non è di buon auspicio per l’autorità della sua presidente, appena confermata per altri cinque anni. A tre giorni dalla scadenza fissata agli stati membri per la designazione dei loro commissari europei, nessuno dei 21 governi che finora hanno risposto ha ottemperato alla richiesta di Ursula von der Leyen di presentare due nomi, un uomo e una donna, per permettere alla presidente di scegliere il più competente e garantire la parità di genere nella Commissione. La promessa era stata fatta pubblicamente nel giorno della sua conferma davanti al Parlamento europeo. “Voglio scegliere i candidati meglio preparati che condividono l’impegno europeista. Ancora una volta, punterò a una quota uguale di uomini e donne al tavolo del collegio”, aveva detto von der Leyen il 18 luglio scorso a Strasburgo. Ma solo quattro paesi – cui vanno aggiunte Germania e Estonia, i cui rappresentanti rispettivi (la stessa von der Leyen come presidente della Commissione e Kaja Kallas come Alto rappresentante e vicepresidente) sono stati scelti collettivamente dal Consiglio europeo – hanno indicato una donna come commissario. Così, la prossima Commissione potrebbe avere più uomini e meno donne non solo di quella uscente, ma anche di quelle presiedute da Jean-Claude Juncker e José Manuel Barroso. Sulla parità l’esecutivo compirebbe un balzo indietro di venti anni. Ora von der Leyen è di fronte al dilemma di rinviare al mittente i nomi proposti dai primi ministri, alcuni dei quali della sua famiglia politica, il Ppe. Altrimenti, il Parlamento europeo potrebbe intervenire bloccando la conferma di alcuni commissari o dell’intero collegio, rinviando l’entrata in funzione della nuova Commissione. Il danno più grave è per l’immagine e l’autorità della stessa von der Leyen, incapace di mantenere le promesse e di farsi ascoltare dai governi. “In termini di rapporti di forza, gli stati membri si impongono sulla presidente della Commissione”, spiega al Foglio un alto funzionario dell’Ue.

Nessuna norma del trattato dell’Ue obbliga gli stati membri a scegliere una donna o a raggiungere la parità di genere nella Commissione. Ma Von der Leyen aveva fissato le regole informali per la designazione dei candidati commissari in una lettera inviata alle capitali il 24 luglio. L’unica eccezione al “ticket” uomo-donna doveva valere per i commissari confermati. Alcuni primi ministri, come l’irlandese Simon Harris, hanno pubblicamente rifiutato di seguire le indicazioni della presidente della Commissione. Altri hanno inviato un solo nome, nella gran parte dei casi uomo, con annunci sul social network X. Attualmente l’elenco è composto da sedici uomini e sei donne. Mancano ancora all’appello i candidati commissari di cinque paesi (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Italia e Portogallo). Ma, secondo i rispettivi media nazionali, i favoriti sono ancora una volta uomini. Il risultato della quasi parità raggiunto da von der Leyen nel 2019 (15 uomini e 12 donne, diventati 14 uomini e 13 donne l’anno successivo a seguito della sostituzione di un commissario) non potrà essere raggiunto. I portavoce della Commissione finora si sono rifiutati di commentare, lasciando intendere che la presidente si esprimerà solo alla fine del processo.

In teoria von der Leyen potrebbe costringere gli stati membri a cambiare il loro commissario. Secondo il trattato, la lista dei candidati deve essere adottata dal Consiglio – dove siedono i governi dei ventisette – “in accordo” con la presidente della Commissione. Nel 2019 von der Leyen aveva promesso davanti al Parlamento europeo un braccio di ferro in nome della parità di genere. “Se gli stati membri non propongono abbastanza commissarie donne, non esiterò a chiedere nuovi nomi”, aveva assicurato von der Leyen con impeto femminista: “Vogliamo la nostra giusta quota!”. Ma negli ultimi cinque anni la presidente della Commissione non si è mai mostrata dura nei confronti dei governi, preferendo assecondarli e fare concessioni ed evitando di aprire conflitti politici. Il test va al di là delle donne o dello sgarbo istituzionale. “Se von der Leyen non sarà coraggiosa su un tema a lei così caro come la parità di genere, difficilmente lo sarà negli scontri futuri con i governi su temi molto più strategici come la difesa europea, l’unione dei mercati dei capitali, il commercio internazionale o il debito comune nel prossimo bilancio dell’Ue”, spiega una seconda fonte.

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