Pari opportunità
"Se la commissione Ue sarà piena di maschi, non la votiamo". Parola di socialista
La presidente della commissione Parità di genere del Parlamento europeo, la socialista spagnola Lina Gálvez al Foglio: "Chi ancora non ha scelto il commissario Ue, lo scelga donna". L'appello a riequilibrare il governo dell'Unione è un'occasione ghiotta per Meloni per recuperare terreno a Bruxelles
Bruxelles. “Chi ancora non ha scelto il commissario Ue, lo scelga donna”. L’appello lo trasmette al Foglio la presidente della commissione Parità di genere del Parlamento europeo, la socialista spagnola Lina Gálvez. Servono nomi di donne infatti per correggere il tiro sulla futura Commissione europea che, numeri alla mano, rischia di essere prevalentemente maschile. “Sarebbe ideale che i governi che ancora non hanno ufficializzato il proprio commissario – tra cui quello di Giorgia Meloni – facessero il nome di una donna, in controtendenza rispetto alle scelte fatte finora dalla maggioranza degli stati membri”, spiega Gálvez, che si dice pronta, altrimenti, alla battaglia in Aula a Strasburgo. A tre giorni dalla scadenza fissata da Bruxelles per presentare i nomi dei futuri commissari Ue, infatti, l’emergenza di genere, da sospetto, è ormai una realtà, con 16 uomini su 22 tra i nomi già noti e solo Portogallo, Belgio, Danimarca, Italia e Bulgaria in attesa di ufficializzazione. È proprio a questi cinque ritardatari che la spagnola chiede di agire: “Anche se tutti e cinque nominassero donne, non basterebbe a riequilibrare la situazione, ma sarebbe già un segnale”.
Un’emergenza che rappresenta un’occasione ghiotta per Giorgia Meloni, che potrebbe recuperare terreno a Bruxelles, dopo le liti di luglio, e incrementare le sue chance nella distribuzione dei portafogli di peso che per bilanciare lo squilibrio potrebbero andare più facilmente alle candidate donne. “Raggiungere una Commissione equilibrata in cui le donne siano giustamente rappresentate non è solo nei nostri principi”, spiega Gálvez, “è nei trattati europei ed è anche specificato nella strategia di genere dell’Ue, che è stata adottata dal Parlamento europeo, proposta dalla Commissione e approvata dal Consiglio Ue stesso, in cui siedono proprio i rappresentanti dei governi”. Per quanto riguarda la scelta dei commissari, però, nei trattati è scritto che gli Stati hanno l’obbligo di presentare un solo nome, senza alcuna menzione del genere. È per questo che cinque anni fa Ursula von der Leyen escogitò il sistema di chiedere a ogni Stato una coppia di nomi, un uomo e una donna, in modo da poter scegliere in base al bilancio generale di genere della Commissione. Prassi, però, che questa volta la maggior parte degli Stati membri non ha rispettato. Una defezione di cui si rammarica Gálvez: “Il sistema usato da von der Leyen è adottato da molti governi nel mondo ed è funzionale all’obiettivo che vogliamo perseguire”.
Ma dietro le scelte sui commissari si nascondono spesso logiche politiche nazionali difficili da comprendere a Bruxelles. “I nomi che di solito vengono proposti dagli Stati membri rispondono a interessi nazionali e a rapporti di potere tra i partiti di un paese, ed è un peccato, perché le persone scelte poi faranno parte di un governo comune che dovrebbe occuparsi delle politiche di tutti gli europei”, continua l’eurodeputata. Tutto ciò determina dunque un “deficit democratico e un deficit di genere che deriva dal fatto che non c’è uguaglianza di genere in Europa, e questo si vede anche in questo divario tra livello politico nazionale e quello europeo”, prosegue Gálvez, sottolineando con forza che la causa non è assolutamente il fatto che “non ci siano donne qualificate e preparate per ricoprire queste posizioni, anzi, basta vedere le statistiche: le donne sono la maggioranza delle persone con una laurea universitaria da decenni ormai, nella maggior parte dei paesi europei”.
Appelli a parte, però, gli stati non hanno obbedito, e neanche chi deve ancora presentare il suo candidato è tenuto a farlo. Cosa fare dunque? “Se qualcosa non cambia, la Commissione dovrà riconsiderare la propria strategia e dire agli Stati membri che questo non è quello che aveva chiesto, che quanto presentato non riflette né i nostri valori né i nostri obiettivi, e quindi chiedere agli Stati di prendersi più tempo e inviare altri nomi”, spiega Gálvez. L’ultima parola, però, spetta al Parlamento europeo, che dopo le audizioni avrà il potere di approvare o respingere i candidati. La presidente della commissione Parità teme però che il nuovo assetto politico dell’Eurocamera, spostato a destra dal voto di giugno, lo renda meno battagliero sui temi di genere: “L’equilibrio di potere è cambiato, e anche la percentuale di donne è diminuita di un punto”. Tuttavia, Gálvez promette battaglia: “È chiaro che nelle regole le audizioni hanno l’ultima parola, ma ancora la lista non è ufficiale, quindi vedremo. Speriamo che i nomi di donne aumentino nei prossimi tre giorni”. E chissà che alla fine a dare una mano non sia proprio Roma.
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