Oltre il giardino

Il premier Starmer prepara gli inglesi a scelte dolorose

Le connessioni con il Partito democratico di Kamala Harris a Chicago e la nascita di una sinistra che non vuole etichette ideologiche e che pensa a mettersi al servizio del paese, senza lamentele

Paola Peduzzi

Il leader laburista dice di dover prendere decisioni impopolari ma che possono far bene al Regno Unito e farlo crescere. I Tory hanno lasciato un "buco nero" più corposo di quello che sembrava. Il nuovo governo cerca di aggiustarlo, anche se "si starà peggio prima di stare meglio"

La manovra finanziaria di ottobre sarà “dolorosa”, ha detto ieri il premier laburista britannico, Keir Starmer, parlando nel giardino delle rose di Downing Street davanti ai giornalisti e a un gruppo di cittadini – lo stesso giardino in cui il governo di Boris Johnson tenne i festini (vietati) durante la pandemia – ai quali ha ripetuto: questo governo è qui per voi, lavorerà per voi, non come quando a guidarvi c’erano i conservatori.

Il premier britannico ha voluto preparare gli inglesi alle decisioni difficili che dovranno affrontare, lui con loro, ha detto che non si aspettava che il buco lasciato dai Tory fosse così corposo – 22 miliardi di sterline – e che questo ha inevitabilmente cambiato la sua strategia – era scuro in volto, ha scelto parole sincere e brutali, ha detto che dovrà fare “grandi richieste” agli inglesi, ma che non le teme “se sono giuste per il paese nel lungo periodo”. Mentre parlava, i conservatori hanno iniziato subito a ribattere: ecco, ve lo ripetiamo da sempre, quando Starmer diceva che non avrebbe alzato le tasse, mentiva. Molte domande dei giornalisti presenti alla conferenza stampa sono state simili: quindi alzerete le tasse? Il premier non ha fornito dettagli sulla manovra del 31 ottobre, ha ribadito che le tasse sul reddito non saranno aumentate – la “missione numero uno” è espandere l’economia, cioè crescere – e sul taglio alle spese ha detto: “Penso davvero che uno dei problemi, in politica, sia che quando si sta su un palco come questo si pretende spesso di non dover prendere decisioni difficili”. Non è così, Starmer ha pronunciato la frase che c’era in tutte le anticipazioni del suo discorso, “le cose andranno male prima di migliorare”, che dai suoi detrattori è stata definita la fine del sogno blairiano che si basava sul ritornello: “Le cose possono soltanto andare meglio”.

L’obiettivo del premier naturalmente non era quello di riprendere o affossare slogan e idee della sinistra: ha già ricostruito il Labour prima delle elezioni di inizio luglio e ha fatto intendere fin da subito che non ha alcuna intenzione di infilarsi in battaglie ideologiche interne alla sinistra, moderati contro radicali, Blair e Corbyn e via dicendo. L’obiettivo è il “buco nero” lasciato dai Tory, un buco nei bilanci “che non si poteva immaginare”, ma anche un buco nella società britannica, “un marciume profondo”, che si è visto nelle proteste e nella violenza dei giorni successivi all’omicidio di tre bambine a Southport, il 29 luglio scorso. Starmer si era posto, durante la campagna elettorale che ha consegnato al Labour una vittoria storica, come un leader che si metteva al servizio degli inglesi, onesto e concreto, pronto ad aggiustare un paese pieno di ferite e di cicatrici, incapace di ritrovarsi in una convivenza senza estremismi e rivalità profonde, a condividere il peso di una ricostruzione necessaria. Questo peso, dice ora Starmer, dovrà essere portato da “chi ha le spalle più grosse”, ma anche gli altri dovranno  necessariamente fare la loro parte. Lui offre sincerità e responsabilità per rendere percorribile questo percorso accidentato, ma ripete: se ci troviamo in questa situazione, la colpa è dei Tory. La scelta stessa di tenere questo incontro nel giardino dei festini di Boris Johnson che diedero il via al “partygate” che determinò la defenestrazione dell’ex premier – e di dire chiaramente: questo prato e questo palazzo torneranno a essere al vostro servizio – dimostra la volontà di segnare un confine netto di strategia ma anche di metodo. I detrattori di Starmer dicono che così è facile, prendersela con chi è venuto prima per giustificare “il tradimento” delle promesse elettorali è  un trucco che gli inglesi vedranno subito, ma sembra che il premier non voglia indulgere troppo su colpe e passato: la situazione è più grave di quanto sembrasse, ma Starmer vuole aggiustare, non lamentarsi o non assumersi le responsabilità di chi è al governo.

Una delegazione del Labour in cui c’era anche lo stratega della vittoria starmeriana, Morgan McSweeney, ha partecipato alla convention del Partito democratico americano a Chicago. Le similitudini tra Starmer e Kamala Harris ci sono, un passato  da procuratori, tutti e due di fronte a una grande polarizzazione e radicalizzazione (anche Harris, molto starmeriana, ha promesso: “Potete sempre fidarvi del fatto che metterò il paese prima del partito”). E’ una sinistra pragmatica, che non vuole etichette, che va dritta al punto anche se doloroso, che parla alla classe media, questa dimenticata, senza ideologie e senza lagne.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi