medio oriente
Il ritorno della Cisgiordania
Tra le manovre massicce per fermare la rinascita degli attentati e le sanzioni ai coloni, Israele ha gli occhi puntati su un altro fronte. Gli scontri, le evacuazioni, il richiamo di Hamas alle "operazioni martirio"
Quando i funzionari israeliani spiegano che la guerra si combatte su sette fronti e non soltanto nella Striscia di Gaza, invitano a contare tutte le minacce esistenti attorno allo stato ebraico. E’ una questione di gruppi armati – Hamas, Jihad islamico, Hezbollah, milizie sciite irachene e siriane, houthi e il regista di tutto, l’Iran – ma è anche una questione geografica, di un conflitto aperto da ogni lato, e spesso lo stesso nemico si affaccia da più lati. Ieri l’esercito israeliano ha iniziato una vastissima operazione in Cisgiordania, concentrandosi nelle zone di Tulkarem, di Jenin e di Far’a, nella valle del fiume Giordano. Si tratta di un’operazione massiccia, come non avveniva da anni, e potrebbe durare diversi giorni. Tsahal si è mosso durante la notte, ha evitato che i terroristi lasciassero l’area e ha eliminato nove palestinesi armati, che avevano iniziato uno scontro a fuoco con i soldati. Alcune immagini dell’operazione mostrano i bulldozer israeliani rimuovere dell’esplosivo per le strade di Tulkarem. Non è la prima volta che i soldati intervengono nel territorio della Cisgiordania, ma la portata dell’operazione è stata diversa dal solito, massiccia, imponente, ha generato scontri e scene di guerra.
Il ministro degli Esteri, Israel Katz, ha detto che sarà necessario “affrontare la minaccia come a Gaza, anche attraverso l’evacuazione dei civili palestinesi”. In Cisgiordania hanno creato un loro centro operativo sia Hamas sia il Jihad islamico, che la scorsa settimana hanno rivendicato un attentato che avrebbe dovuto colpire Tel Aviv ma è fallito. L’attentatore, Jaafar Mona di Nablus, è morto il 18 agosto perché una bomba è esplosa nel suo zaino mentre camminava: è stato un errore, l’attentato era previsto allo stadio. Tsahal e i servizi israeliani temono che sia il segnale del ritorno del terrorismo sui civili, di una guerra non più di razzi, ma di esplosivo nei posti pubblici, tra i mercati, sui mezzi di trasporto, nei locali. La Cisgiordania ribolle da mesi, al suo interno c’è una lotta politica per il controllo dei palestinesi, c’è un fronteggiarsi continuo tra Hamas e Fatah, il partito di Mahmoud Abbas, che governa l’Autorità nazionale palestinese e che negli scontri contro Tsahal si è unito con le altre fazioni. Ieri, da Istanbul, Khaled Meshaal, ex leader di Hamas, ha ordinato il ritorno delle “operazioni martirio”, degli attentati suicidi contro i civili. Meshaal viene dalla Cisgiordania, ha legami e uomini nel suo territorio, in cui non torna da tempo.
C’è un altro fronte che si nomina meno e non può essere affrontato con la guerra: l’ottavo. Ieri Tsahal ha detto che nel villaggio palestinese di Jit, dove i coloni estremisti sono andati a picchiare e incendiare, è stato compiuto un atto terroristico. La politica aveva già condannato l’attacco contro i civili palestinesi, dal presidente Isaac Herzog al primo ministro Benjamin Netanyahu, tutti si erano pronunciati contro. Le azioni violente degli estremisti, il terrorismo ebraico, sono fenomeni in aumento da quando l’estrema destra che sposa le loro istanze tiene il premier legato alle loro minacce. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir sono i difensori e i promotori dei coloni estremisti e hanno posti di rilievo dentro al governo: Ben-Gvir, per esempio, controlla la polizia. Contro di loro si sono pronunciati non soltanto gli oppositori, da Yair Lapid a Benny Gantz, tra i più celebri, ma anche i partiti religiosi che sono all’interno del governo e anche il ministro della Difesa Yoav Gallant, che dopo l’attacco a Jit aveva detto che la violenza estremista è un pericolo per tutti. Ieri i dipartimenti di stato e del Tesoro americani hanno imposto sanzioni contro le organizzazioni che promuovono la violenza nei territori della Cisgiordania. Ora che la “parte al di qua del Giordano” è sempre più una questione di sicurezza e ha riportato l’attenzione sugli attentati, la paura di Israele è che le azioni dei coloni contribuiscano a creare una situazione di violenza e caos ancora più difficile da controllare e in grado di distrarre Tsahal dalle sue operazioni.