l'editoriale del direttore
L'importanza di essere Never Trump
Un formidabile appello firmato da 238 repubblicani che hanno lavorato con i Bush e con McCain invita a boicottare il trumpismo e a votare senza indugini Kamala. Lezioni utili anche per le ridicole cheerleaders italiane
La storia del formidabile movimento americano dei cosiddetti “Never Trump” lunedì scorso si è arricchita di un nuovo capitolo: una lettera firmata da 238 repubblicani di un certo spessore indirizzata ai repubblicani moderati e ai conservatori indipendenti che il prossimo 5 novembre potrebbero essere decisivi negli stati chiave per determinare chi sarà tra Donald Trump e Kamala Harris a guidare gli Stati Uniti d’America nei prossimi quattro anni.
I “Never Trump” esistono da molti anni, da quando Trump si è affacciato sulla scena politica, e non si può dire che il loro attivismo abbia scalfito, nel tempo, il Partito repubblicano. Dal 2016, anno in cui Trump vinse le presidenziali, il Partito repubblicano ha iniziato a somigliare sempre di più a The Donald, in modo persino inquietante, e se un tempo il Gop subiva Trump considerandolo il male minore, l’unica carta possibile per competere con i democratici, oggi il Gop, come ha dimostrato la convention di Milwaukee, sta a Trump come una mano nel guanto: perfettamente aderente. Nel Partito repubblicano, i “Never Trump” contano quello che contano ma nel dibattito pubblico qualcosa potrebbero contare, qualcosa potrebbero trasmettere, e la lettera pubblicata lunedì su Usa Today è da questo punto di vista un perfetto manifesto di che cosa significhi essere oggi dei repubblicani orgogliosamente ribelli, desiderosi di salvare l’America da un’alternativa, quella trumpiana, semplicemente “insostenibile”, dannosa, pericolosa, minacciosa per la democrazia più importante del mondo.
Quattro anni fa, scrivono i firmatari della lettera, tra cui ci sono Jean Becker, capo dello staff di George H. W. Bush, Mark Salter e Chris Koch, ex capi dello staff di McCain, David Nierenberg, ex responsabile del finanziamento della campagna elettorale di Romney del 2012, David Garman, sottosegretario all’energia sotto George W. Bush, un gruppo di collaboratori dell’ex presidente George W. Bush, del defunto senatore John McCain e gli ex studenti del governatore Mitt Romney si riunirono per avvertire i colleghi repubblicani che la rielezione del presidente Trump sarebbe stata un disastro per la nazione.
In quelle dichiarazioni, dicono i firmatari dell’appello, “abbiamo affermato la pura verità, prevedendo che altri quattro anni di presidenza Trump avrebbero danneggiato irreparabilmente la nostra amata democrazia”. E dunque, scrivono ancora, “ci riuniamo oggi, insieme ai nuovi ex studenti di George H. W. Bush, per rafforzare le nostre dichiarazioni del 2020 e, per la prima volta, dichiarare congiuntamente che voteremo per la vicepresidente Kamala Harris e il governatore Tim Walz questo novembre”, pur avendo “disaccordi onesti e ideologici con entrambi”. E questo perché “altri quattro anni di leadership caotica di Donald Trump, questa volta concentrati sul raggiungimento dei pericolosi obiettivi del Progetto 2025, danneggeranno le persone reali e comuni e indeboliranno le nostre sacre istituzioni”, mentre all’estero “i movimenti democratici saranno irrimediabilmente compromessi mentre Trump e il suo accolito J. D. Vance si inchinano a dittatori come Vladimir Putin mentre voltano le spalle ai nostri alleati: non possiamo permettere che ciò accada”.
Nel 2020, quando i “Never Trump” si schierarono con forza contro Trump, alla fine i repubblicani moderati e gli indipendenti conservatori furono fondamentali per garantire la vittoria di Biden.
L’elemento cruciale che rende importante il manifesto degli anti Trump di destra – e che meriterebbe di essere studiato anche dalle cheerleader del trumpismo in giro per il mondo, Italia compresa – è la sua centralità, la sua universalità, la sua capacità di mettere a fuoco alcuni concetti già magnificamente sintetizzati giorni fa sul New York Times da un altro conservatore importante, David French, che ha spiegato perché votare contro Trump, per un elettore di destra americano, è l’unico modo per salvare ciò che resta del conservatorismo dalla cultura del complottismo, dall’amore per il protezionismo, dall’odio per la globalizzazione, dal disprezzo per le democrazie liberali, dalla passione per i regimi autoritari.
Se vincesse Harris, ha scritto French, che ha anticipato di qualche giorno il manifesto dei “Never Trump”, l’occidente si opporrebbe ancora a Vladimir Putin e gli americani conservatori avrebbero la possibilità di costruire qualcosa di decente dalle rovine di un partito che un tempo era una forza per il bene autentico nella vita americana. Per salvare il futuro della destra conservatrice, in giro per il mondo, per evitare di farla sprofondare nella spirale del complottismo assoluto, della violenza politica, del disprezzo per i princìpi non negoziabili di una democrazia liberale, i conservatori di tutto il mondo dovrebbero unirsi contro Trump e augurarsi che l’uomo che ancora non ha riconosciuto formalmente la sconfitta del 2020 venga politicamente asfaltato da Kamala Harris il prossimo 5 novembre. Più Trump, uguale più chiusura. Più chiusura uguale meno conservatorismo. Meno conservatorismo uguale meno libertà. Viva i “Never Trump”.