Spostare le linee rosse

Perché Washington è ancora riluttante a permettere a Kyiv di usare le armi dove servono

Paola Peduzzi

Joe Biden ha avuto il merito di guidare l’alleanza occidentale, di tenerla unita, di aver inviato armi e finanziamenti, di non aver mai messo in discussione il sostegno all’Ucraina. La guerra però ora è entrata in una nuova fase

Due giorni di bombardamenti russi brutali, intensi, mortiferi su tutta l’Ucraina; un avanzamento delle forze ucraine nella regione russa di Kursk – per costringere i russi a spostare truppe dal Donbas, cosa che sta accadendo, ha detto il generale ucraino Oleksandr Syrsky; un’incursione nella regione russa di Belgorod; un nuovo missile di produzione ucraina testato con successo; l’intervento degli F-16 contro le bombe russe, i pochi consegnati dagli occidentali; e poi la solita domanda, insistente, urgente da parte di Kyiv agli alleati: lasciateci usare le armi che ci date dove ci servono, dove possono risparmiare vite ucraine, dove possono fermare gli attacchi da dove partono, cioè in Russia.

Alla domanda l’occidente risponde sempre con cautela e con ritardo. John Kirby, capo delle comunicazioni sulla sicurezza e sulle guerre della Casa Bianca, ha detto che Washington conosce bene le richieste di Kyiv sul permesso di utilizzare le armi in territorio russo, oltre i limiti imposti ora, e che le discussioni con gli ucraini continuano: per ora non è cambiato nulla, ma è comunque un colloquio che resterà confidenziale.

Anche il premier britannico, Keir Starmer, ha detto che le regole non sono ancora cambiate, ma alcuni esperti dicono che Londra sta già insistendo con l’Amministrazione Biden per far cadere questo ennesimo tabù, come già aveva fatto in passato con i carri armati e con i jet per la copertura aerea. Questa strategia incrementale che si protrae da quando è iniziata l’invasione russa nel 2022 è però diventata macchinosa e il suo costo umano cresce sempre di più – è un costo che l’Ucraina paga da sola, con i suoi soldati e i suoi civili, e che diventa insostenibile. La settimana scorsa il sito Politico aveva raccolto, in molte conversazioni tra America, Europa e Kyiv, un certo ottimismo: Washington sembrava vicina a togliere gli impedimenti all’utilizzo delle armi della Nato nel territorio russo, Biden sembrava meno riluttante, il fatto che non dovesse correre per un secondo mandato sembrava averlo reso più libero. All’inizio di questa settimana, i raid devastanti dei russi sui civili e sulle infrastrutture ucraini hanno cambiato l’umore di tutti, soprattutto a Kyiv l’insofferenza è palpabile, oltre che comprensibile.

La propensione al rischio degli Stati Uniti è sempre stata più bassa rispetto a quella dell’Ucraina. Sul Financial Times, Gideon Rachman spiega l’origine di questa differenza: “All’inizio del conflitto, Joe Biden si diede due obiettivi: il primo era sostenere l’Ucraina, ma il secondo era evitare una terza guerra mondiale. Se dovesse scegliere tra i due, gli Stati Uniti sceglierebbero chiaramente il secondo”. Kyiv smentisce a suon di controffensive il postulato secondo cui una maggiore aggressività contro la Russia provocherebbe una reazione più pericolosa da parte di Vladimir Putin: l’operazione a Kursk, inattesa e per quel che si sa tenuta segreta anche agli americani, lo dimostra, come ha detto anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che pure è sotto le bombe della rappresaglia russa. Ma “è improbabile che anche un successo militare – scrive Rachman – possa portare gli americani a gettare al vento la loro cautela: loro vogliono comunque evitare un coinvolgimento diretto con la Russia e prendono sul serio la minaccia nucleare russa”, soprattutto se Putin dovesse sentirsi in un pericolo esistenziale. Per ora questo pericolo lo ha corso e lo corre soltanto l’Ucraina ed è per questo che ha una tolleranza nei confronti del rischio molto più alta rispetto a tutti gli altri: ne va della sua sopravvivenza, può soltanto chiedere di difendersi nel modo che considera più efficace, tutto il resto è già in bilico.

In una ricostruzione delle ultime settimane pubblicata dal Wall Street Journal, si ricorda che Zelensky non ha voluto parlare con gli americani dell’operazione a Kursk perché l’avrebbero considerata irrealistica visto che oltrepassava “la più rossa delle linee rosse” per la Russia, ma la reazione confusa e lenta dei russi sarebbe servita per dimostrare agli alleati che non si devono temere le minacce di Putin e cambiare piuttosto la dinamica della guerra.

Joe Biden ha avuto il merito di guidare l’alleanza occidentale, di tenerla unita, di aver inviato armi e finanziamenti, di non aver mai messo in discussione il sostegno all’Ucraina, ma si sono accumulati ritardi e riluttanze che ancora non sono stati compensati. Rachman conclude la sua analisi con una frase feroce: “Quando gli ucraini si lamentano del fatto che i loro alleati sono spaventati dall’idea della vittoria, non hanno tutti i torti”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi