La vicepresidente americana, Kamala Harris, candidata del Partito democratico alle presidenziali, nel giugno del 2021 a El Paso, al confine con il Messico (Lapresse) 

negli stati uniti

Parliamo di immigrazione: Harris e Walz alla loro prima intervista

Giulio Silvano

Dopo una risposta sbagliata sui migranti qualche anno fa, la candidata dem ha evitato le interviste e pure un po’ il tema. Oggi che ritorna davanti a un(a) giornalista, un bilancio del suo mandato da “zarina”, come la chiamano i trumpiani

Il vicepresidente degli Stati Uniti, a parte presiedere il Senato, non ha compiti specifici. Il commander in chief può scegliere di assegnargliene alcuni durante i quattro anni di mandato, in base alle necessità. Nella primavera del 2021 Joe Biden, in carica da pochi mesi, decise di dare alla sua vice Kamala Harris il compito di gestire l’immigrazione, ruolo che lui stesso aveva avuto durante la seconda amministrazione Obama. Gli anni di Donald Trump alla Casa Bianca erano stati segnati da una politica migratoria considerata draconiana dai progressisti, condita dalla retorica sulla costruzione del muro con il confine messicano. “Build the wall” era stato uno degli slogan della campagna del 2020. La politica “zero tolleranza” dell’Amministrazione Trump, ideata dall’advisor presidenziale Stephen Miller, aveva portato a separare circa cinquemila minori dai loro genitori e a tenerli imprigionati al confine nelle gabbie. Con la vittoria di Biden nel 2020 i democratici avevano cercato un cambio di rotta per provare a risolvere il problema alla radice. E a occuparsene fu scelta appunto Kamala Harris che, nel marzo del 2021, fu inviata da Biden a dialogare con i governi di tre paesi da cui arriva una buona parte degli immigrati irregolari: Guatemala, El Salvador e Honduras.

In El Salvador era presidente l’autoritario Nayib Bukele, molto vicino ai trumpiani. In Honduras era al potere Juan Orlando Hernández, allora sotto investigazione e poi condannato a 45 anni per traffico di droga. E così Harris andò in Guatemala, dove al governo c’era il conservatore Alejandro Giammattei. L’obiettivo di Harris era: aiutarli a casa loro e convincerli a non partire. In una conferenza stampa accanto a Giammattei fece un appello pubblico, con le lacrime agli occhi, dicendo ai potenziali immigrati illegali: “Non partite, non venite. Gli Stati uniti continueranno a implementare le leggi per rendere sicuro il confine”. Ma al suo primo viaggio il suo staff e la stessa Harris erano nel panico. Il Covid aveva colpito duramente le economie dell’America centrale, gli ingressi illegali continuavano ad aumentare. Mentre era in Guatemala la vicepresidente fu intervistata dalla Nbc, una rete amica, e le venne chiesto: “Perché non vai al confine? Perché non andare a vedere quello che vedono gli americani durante questa crisi?” e lei: “Perché vogliamo risolvere il problema alla radice”. “E allora quando andrai a vedere il confine?” e lei: “Ci siamo andati”. Il giornalista rispose: “Non è vero, non ci sei mai andata”, e Harris rispose con una risata nervosa: “Non ci sono andata, ma non sono nemmeno andata in Europa”. Da allora Kamala ha evitato le interviste, e ha cercato in tutti i modi di distanziare il suo nome dalla gestione del confine a sud. 


Oggi, dopo il ritiro di Biden, Harris è la candidata del Partito democratico per le presidenziali di novembre e i repubblicani la attaccano per la cattiva gestione dell’immigrazione. Secondo la maggioranza degli americani l’Amministrazione Biden non è stata in grado di controllare gli ingressi, il 60 per cento degli elettori registrati ne boccia le politiche migratorie. Nel 2023 c’è stata una vera crisi con 2 milioni e mezzo di arrivi registrati, oltre a 600 mila sfuggiti alla polizia di frontiera. Le città statunitensi vicine al Messico sono diventate delle grosse sale di attesa. I governatori degli stati del sud, quasi tutti repubblicani, hanno inviato bus di immigrati in città a guida democratica per protesta. Oggi che Harris è la candidata, la campagna trumpiana cerca di dipingerla come la “zarina dell’immigrazione”. Il confine la mette in imbarazzo e secondo molti è la ragione per cui evita ancora adesso le interviste. La sua vulnerabilità oggi risiede  lì: nell’immigrazione. Il tema è diventato il cuore della campagna del movimento trumpiano Maga (Make America Great Again), legando gli ingressi irregolari al crimine nelle città, alla diffusione di sostanze stupefacenti, all’epidemia di intossicazioni da fentanyl. Un’intera serata della convention repubblicana – Make America Safe Again – è stata dedicata al mostrare come le politiche democratiche sugli ingressi abbiano reso la nazione insicura, piena di quelli che Trump ha chiamato in alcuni comizi “animali”. Negli ultimi mesi Trump è stato tre volte al confine, e la settimana scorsa in Nevada – uno stato chiave – ha detto che “la compagna Kamala, zarina dell’immigrazione, ha permesso un’invasione da record”. Secondo gli ultimi sondaggi, per l’elettorato del Partito repubblicano l’immigrazione è il tema principale su cui si giocano queste elezioni. 


L’etichetta di “zarina”, ora usata da tutto il mondo Maga, è inappropriata. Quello di zar è un ruolo temporaneo che viene dato per gestire un problema rapidamente. Per esempio, il sindaco di New York, Eric Adams, ha nominato una “rat czar” per gestire i milioni di topi che hanno invaso la città. A Buffalo ne era stato nominato uno per l’eclisse solare di quest’anno, per coordinare gli arrivi. Biden non ha mai dato a Harris il titolo di zarina e, dicono oggi i democratici per difenderla, il suo compito è sempre stato solo quello di gestire “il problema alla radice”, e non l’invasione di migranti al confine col Messico. A dicembre c’è stato un record di arrivi – 250 mila in un mese – ma con il nuovo anno i numeri sono scesi. A gennaio del 2024 le cifre si sono dimezzate rispetto al mese precedente. La riduzione degli attraversamenti si deve a un insieme di fattori: per iniziare, le politiche più dure da parte del governo e della polizia messicana e il fatto che siano  finite le emergenze post Covid. Ma quel che conta è che le politiche implementate da Harris nei paesi centroamericani dal 2021 hanno in parte funzionato: l’immigrazione da Guatemala, El Salvador e Honduras nell’ultimo anno è scesa del 35 per cento (anche se sono aumentati gli arrivi da altre nazioni da cui prima provenivano meno migranti, come Venezuela e Cina). Negli anni in cui Harris ha cercato di “risolvere il problema alla radice”, come ripeteva nervosa ogni volta che il tema veniva fuori e prima di fuggire dalle interviste, ci sono stati grossi investimenti nei paesi centroamericani coordinati dalla Casa Bianca. Era stato fatto un investimento iniziale di 750 milioni e presi accordi con vari imprenditori statunitensi invitati da Kamala per creare posti di lavori in Guatemala, El Salvador e Honduras. Secondo i dati di Partnership for Central America, una no profit che monitora gli sviluppi nella regione, oggi ci sono oltre 50 aziende americane coinvolte – tra cui Nespresso, PepsiCo e l’azienda di abbigliamento sportivo Columbia – per un investimento totale di quasi 5 miliardi e mezzo di dollari e oltre settantamila impieghi

  

Foto LaPresse
   

Per quanto gestita goffamente e oggi diventato il suo tallone d’Achille, ad analizzare i numeri la scelta di Biden di mandare Harris ad “aiutarli a casa loro” non sembra così fallimentare e, come molte politiche complesse, è difficile vederne i risultati nel breve corso di un mandato presidenziale. Se nel 2019 il 71 per cento degli irregolari arrivava da queste tre nazioni, oggi vale soltanto per il 23 per cento. 


Visto però quanto questo sia il tema della campagna, Harris ha iniziato a proporre un piano più d’azione immediata dovesse essere eletta a novembre, un piano che cerca di essere sia progressista sia risolutivo e ammiccante verso la propaganda Maga. Per prima cosa ha promesso che chiuderà i centri di detenzione privati, usati dalla polizia di frontiera quando si riempiono quelli pubblici. Ha detto che aiuterà undici milioni immigrati presenti nel paese a diventare cittadini per vie legali. Ma allo stesso tempo ha iniziato a promettere “la più dura legge sul controllo delle frontiere mai fatta da decenni” e ha condiviso la sua esperienza da procuratrice quando mandava in galera centinaia di spacciatori di droga. “La presidente assumerà migliaia di nuovi poliziotti per il confine ed eliminerà il traffico di umani e di fentanyl”, dice un nuovo spot televisivo democratico. “Sistemare il confine è tosto. Ma anche Kamala Harris la è”.  Oggi Harris farà la sua prima intervista da candidata assieme al suo compagno di ticket, il candidato vicepresidente Tim Walz. I trumpiani hanno già detto che ha bisogno di un accompagnatore per gestire la tensione sull’immigrazione.

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