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Cosa c'entrano le sanzioni alla Russia con una serie tv su Biden

Micol Flammini

Rimbambito, vecchio e troppo sorridente, il presidente americano si perde a Mosca, dove va a controllare se le sue politiche funzionano. Propaganda, vecchi stereotipi e una squadra di autori per aumentare il sostegno a Putin attraverso il grande e piccolo schermo

Del futuro di Joe Biden, quando ormai non sarà più presidente degli Stati Uniti, la Russia si preoccupa molto, tanto da suggerire al capo della Casa Bianca un viaggio, una nuova missione. Il canale russo Tnt ha annunciato l'uscita di una nuova serie tv dal titolo Gudbaj (traslitterazione russa di Goodbye, arrivederci). Il protagonista è il presidente americano che, vecchio, ridanciano, rimbambito e impacciato, decide di fare un viaggio in Russia per vedere come mai le tanto studiate sanzioni contro Mosca non funzionano. Biden, arrivato in Russia,  non si presenta come il presidente uscente degli Stati Uniti, viaggia in incognito.  Il capo della Casa Bianca però non riesce a nascondere il suo sorriso molto americano – la domanda sul perché i russi non sorridono affligge le pagine dei libri di testo di lingua russa – un entusiasmo inconfondibilmente d’oltreoceano e degli occhiali da sole profondamente bideniani: Ray-Ban aviator. Percorrendo la Russia, vasta e profonda, intraprende un viaggio “nell’anima del popolo russo”, perde i documenti e si ritroverà a essere salvato da un “patriota russo”. Gli stereotipi ci sono tutti, da come i russi vedono loro stessi a come vogliono che vengano visti gli americani. Biden perde i documenti perché è distratto e ride troppo. Non può farcela se non grazie al buon cuore del popolo russo che gli permette di sopravvivere in una popolare chrushevka – uno di quegli edifici anni Sessanta fatti costruire da Nikita Chrushev, che rendono tutti uguali certi quartieri russi e di altre nazioni al di là dell’ex  Cortina di ferro. Il presidente non ha più documenti né soldi, inizia a insegnare Inglese per sopravvivere e per racimolare denaro  per poter tornare negli Stati Uniti, dove si sono dimenticati di lui e anzi, una volta perse le tracce dell’ex presidente, organizzano una missione di rimpatrio per portare a casa un altro cittadino americano, americanissimo quanto Biden. E poco importa se non si trattava del capo della Casa Bianca. Abbandonato e sempre meno americano, Biden trova nel “patriota russo” la via della salvezza, le sanzioni non gli importano più e scopre gli agi interiori che anche in un appartamento spoglio dei tempi sovietici si possono trovare. I buoni sentimenti russi battono il globalismo americano, accolgono Biden, dimenticato dal suo stesso paese. La propaganda è perfetta, anche rétro, non ha mutato metodi né stereotipi dall’èra sovietica, Mosca è il posto che perdona, Washington è il mondo alieno che dimentica anche i suoi presidenti. Poco importa se la storia delle sanzioni rischia di essere diversa e alcune notizie mostrano che le ultime disposizioni dell’Amministrazione Biden sono in grado di colpire Mosca anche dove ritiene di essere più al sicuro, persino nel suo rapporto con la Cina. 


Questa settimana, la testata russa Kommersant ha riportato che dall’inizio di agosto, le banche degli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a rifiutare transazioni effettuate da aziende russe per pagare componenti elettroniche provenienti dalla Cina, manifestando che gli ostacoli delle relazioni economiche tra Mosca e Pechino sono in crescita proprio per il rischio di azioni secondarie. Quello che il Cremlino continua a presentare come un fallimento, una buffetto risibile che vorrebbe essere un potente schiaffo da parte dell’occidente, con il tempo inizia a fare i suoi danni, a rendere la Russia  un paria, a dividere il mondo tra chi vuole aiutare il Cremlino al punto di isolarsi e chi invece preferisce non rinunciare a  relazioni internazionali fiorenti. L’argomento non è trattato nella serie Gudbaj, Biden rimane troppo imbambolato di fronte al mondo russo e perde presto di vista l’obiettivo iniziale della sua visita. Dopotutto le sanzioni non sono neppure argomento da serie tv, un prodotto su cui il Cremlino sta investendo molto per la propaganda. Nelle stanze del palazzo presidenziale di Mosca, lavora ormai da più di un anno una commissione che si occupa di pensare e commissionare prodotti culturali per aumentare il sostegno a Putin, alla sua guerra e allo spirito patriottico. La serie Slovo Patsana che racconta la violenza degli anni Ottanta nell’Urss è stata vista in Russia e anche in Ucraina ed è stata finanziata con i soldi del governo russo, nonostante la colonna sonora fosse di un gruppo tataro fuggito dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione del territorio ucraino. Qualche mese dopo, il governo ha finanziato Il maestro e Margherita, senza rendersi conto che il libro di Mikhail Bulgakov fosse una critica al regime sovietico facilmente leggibile come una critica anche al regime putiniano. La censura russa però non è stata così raffinata da capirlo, ha preso la produzione ispirata al romanzo e ha pensato che fosse una serie per esaltare i prodotti russi. Con Gudbaj invece sono andati sul sicuro, ripercorrendo il vecchio topos dell’americano che rimane colpito dalla generosità del popolo russo. Niente violenza, come in Slovo Patsana, niente Vangelo, come nel Maestro e Margherita. Neppure sugli attori hanno voluto correre rischi: Biden, con dentoni, sguardo perso e occhiali, è interpretato da Dmitri Djuzhev, attore fedele al regime, arringatore di discorsi nazionalisti, voce di punta per chiamare al patriottismo. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)