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Presidenziali americane

Il consiglio di Karl Rove a Trump per mettere Kamala in difficoltà

Marco Bardazzi

In vista del faccia a faccia televisivo, l'unica strategia per superare la candidata dem nei sondaggi potrebbe essere puntare al fattore flip-flop: accusarla di aver detto cose in contraddizione tra loro

Sarà dura per Donald Trump trovare un colpo da ko quando si troverà per la prima volta faccia a faccia con Kamala Harris nel dibattito presidenziale. Lo si è capito nella prima intervista tv concessa dalla vicepresidente da quando è diventata la candidata dei democratici. Una prova superata dalla Harris senza infamia e senza lode, che ha svelato però su di lei più informazioni del discorso alla convention. Il 27 giugno Trump ha dominato senza fatica il dibattito con Joe Biden, gli è bastato lasciare che il presidente si facesse male da solo. Il 10 settembre troverà però sul ring un’avversaria che sfugge ai suoi colpi migliori. 

 


 

Non riuscirà a dipingerla come una pericolosa comunista, perché Harris si è posizionata su una linea moderata che la protegge dagli attacchi. Non potrà affondare sull’assenza di dettagli nelle sue proposte politiche, perché The Donald si scoprirebbe ai fianchi: da dieci anni fa proclami senza mai scendere sul terreno delle soluzioni specifiche. Sarà difficile imputarle quelli che i repubblicani ritengono siano gli errori dell’amministrazione in carica, perché la Harris sta facendo quello che Biden non riusciva più a fare: spiegare agli americani che in realtà gli ultimi anni sono stati ricchi di successi. E con ogni probabilità Trump non riuscirà neppure a provocarla sui temi identitari, sul suo essere donna, nera, asiatica, perché la Harris di questo non vuol parlare proprio. “E’ il solito vecchio copione. Prossima domanda?”, si è limitata a rispondere alla Cnn quando l’intervistatrice, Dana Bash, ha provato a incalzarla su ciò che Trump dice di lei. 


C’è un’unica arma che resta a Trump per colpire Kamala Harris e provare a frenarla nei sondaggi, che al momento la vedono in testa di due-tre punti sia su scala nazionale, sia in gran parte dei sette stati chiave. E’ quella che Karl Rove, lo stratega delle vittorie elettorali di George W. Bush, ha spiegato in un colloquio organizzato dalla rivista conservatrice National Review: “Deve puntare al fattore flip-flop”. Che sono le ciabattine di gomma infradito, ma anche un’espressione del linguaggio politico americano che definisce chi cambia spesso posizione. Rove lo sa bene, perché nel 2004 riuscì ad appiccicare l’etichetta di flip-flopper a John Kerry, lo sfidante di Bush per la Casa Bianca, accusandolo di aver detto cose in contraddizione tra loro soprattutto sulla guerra in Iraq. I repubblicani arrivarono a distribuire ciabattine con sopra il nome di Kerry ai delegati alla loro convention. Funzionò: agli elettori rimase l’impressione di un politico pronto a cambiare idea per convenienza. 

 

“Trump oggi è in una posizione più solida di dove era in questo momento nel 2016 e nel 2020 – è l’analisi di Rove – ma la Harris è un candidato più forte di quanto non fossero Hillary Clinton e Biden. L’ex presidente deve cambiare gioco in fretta”. L’intervista ha affrontato molti potenziali flip-flop della Harris. “I miei valori non sono cambiati”, ha detto la candidata. Ma non ha negato di aver mutato posizione su vari temi: è a favore delle trivellazioni con il metodo “fracking” dopo essere stata contro; non difende più l’idea di una copertura sanitaria Medicare per tutti; esprime una linea dura sui controlli al confine del Messico che appare in contraddizione con quella tollerante di alcuni anni fa. 


Tutti temi su cui Trump può provare ad attaccarla. Ma l’intervista alla Cnn ha dimostrato che anche senza un copione scritto, Kamala Harris riesce a mantenere il posizionamento moderato e rassicurante che ha scelto, proponendo al paese “una nuova strada su cui avanzare”. Trump proverà la strategia delle ciabattine di gomma, ma potrebbe trovarsi di fronte un muro di gomma.