israele

Liti sul corridoio Filadelfi e una lezione dal Mossad del 2006

Micol Flammini

Il governo israeliano litiga sul corridoio tra Egitto e Gaza, ma arriva il primo passo serio tra Israele e Hamas: le liste di ostaggi da liberare e prigionieri palestinesi da rilasciare in caso di accordo. Le ragioni dell'ottimismo americano 

Per procedere nei negoziati, si va avanti con concessioni minuscole, a volte impercettibili. Sono brecce che possono smuovere una situazione che pare sigillata e mostrare uno spiraglio. Giovedì sera, durante una riunione del gabinetto di sicurezza israeliano, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha urlato contro il primo ministro Benjamin Netanyahu e lo ha accusato di sentirsi di avere il diritto di condannare a morte gli ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas, dentro ai tunnel o nelle case o ormai senza vita nella Striscia di Gaza. Netanyahu e Gallant non si sopportano da tempo, da prima del 7 ottobre, ma continuano a convivere non soltanto nello stesso governo, ma anche nello stesso partito, il Likud, da cui né l’uno né l’altro hanno intenzione di muoversi. Gallant, che da quando è iniziata la guerra contro Hamas è sempre vestito di nero, rimane nel partito e nel governo anche come minaccia continua al premier, quasi che il ministro della Difesa volesse dire a Bibi: mi prenderò il Likud e poi il governo, non puoi cacciarmi. L’ultima discussione furiosa, secondo i giornali israeliani,  è avvenuta mentre il gabinetto di Sicurezza esaminava le nuove mappe per la presenza di Tsahal lungo lo tzir Filadelfi dopo la fine della guerra a Gaza. 


Lo tzir Filadelfi è  il corridoio demilitarizzato che per quattordici chilometri divide l’Egitto dalla Striscia, sotto al quale il gruppo terrorista ha scavato tunnel in grado di arrivare alla penisola del Sinai che servono da canali di rifornimento di armi. Tsahal ha preso il controllo del corridoio, dice di aver distrutto l’80 per cento dei tunnel, ma teme che Hamas, una volta raggiunto il cessate il fuoco, ricomincerà a costruire la sua infrastruttura sotterranea. La presenza degli israeliani lungo il confine non è rigettata soltanto da Hamas, ma anche dall’Egitto che nei colloqui per arrivare a un accordo svolge il ruolo di mediatore, ma sta sposando alcune delle posizioni di Hamas. Le mappe per la permanenza di Tsahal sono state approvate dal gabinetto di Sicurezza, Gallant ha votato contro e il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, si è astenuto: crede che la presenza proposta sia troppo poco massiccia. Secondo Gallant, invece, le mappe sul dispiegamento israeliano lungo il corridoio Filadelfi sono un passo indietro nei negoziati: la zona cuscinetto è un problema di sicurezza che, secondo il ministro, può essere tenuto sotto controllo con interventi mirati, il ritorno sporadico dei soldati e molta intelligence. 


Le liti dentro al governo in tempo di guerra sono segnali di una divisione che il nemico può utilizzare a proprio vantaggio e Hamas, dal 7 ottobre, ha dimostrato di saper far leva sulle discordie interne, sui litigi israeliani e sull’effetto che producono sugli alleati internazionali dello stato ebraico. E’ la prima volta che Israele si trova in guerra con una politica tanto divisa ed è la prima volta che  deve capire come risolvere non soltanto i suoi problemi di incomprensione, ma anche come rivoluzionare i suoi modelli decisionali. 


Il generale Amnon Sofrin, ex capo della direzione intelligence del Mossad, ha rivoluzionato i processi decisionali delle istituzioni israeliane più di vent’anni fa, disegnando una struttura che prevede l’utilizzo di due gruppi: il primo ristretto, in cui siedono il primo ministro, il ministro della Difesa, i consiglieri militari e i capi delle agenzie di intelligence. Questo primo gruppo deve esplorare e discutere tutte le opzioni possibili, di fatto sono i militari che propongono delle soluzioni al primo ministro. Dalle discussioni interne a questo primo gruppo viene presa una decisione che viene trasferita al secondo gruppo, il gabinetto di Sicurezza, che ha il potere decisionale. Al gabinetto di Sicurezza viene presentata una soluzione da accettare o respingere, va da sé che l’opzione messa sul tavolo è stata già approvata dal premier.  Da quando è iniziata la guerra a Gaza, Israele ha mantenuto la struttura decisionale a due gruppi e così è stato scelto anche di votare a favore della mappa sulla presenza di Tsahal lungo il corridoio Filadelfi. Il generale Sofrin di negoziati ne ha seguiti molti, ha fatto parte di molti gabinetti di Sicurezza ne ricorda uno in modo particolare: nel 2006, Israele era in guerra contro  Hezbollah (anche oggi è in guerra contro il gruppo di miliziani sciiti attivo in Libano), il primo ministro Ehud Olmert doveva prendere decisioni importanti dopo che il conflitto andava avanti da trenta giorni. L’11 agosto, Olmert terminò la sua riunione con gli esperti militari che gli suggerirono grandi manovre di artiglieria  per sconfiggere il gruppo libanese. Venne deciso di portare quel piano al gabinetto di Sicurezza, ma c’era qualcosa che non convinceva il primo ministro che decise di chiamare il ministro dei Trasporti, ex capo di stato maggiore, ex ministro della Difesa, Shaul Mofaz. Mofaz studiò il piano, neppure lui ne era soddisfatto, fece a Olmert una controproposta. Il suo progetto  prevedeva di mandare due divisioni di Tsahal da est a ovest, facendole passare a sud del fiume Leonte, in Libano, e mettere Hezbollah davanti al fatto compiuto: siamo qui, che vuoi fare, vuoi vedertela con tutta la nostra artiglieria? Era la prima volta che al gabinetto di sicurezza si arrivava con un piano e un contropiano, i vertici militari protestarono, Olmert capì che non era il caso di mettersi  contro il capo di stato maggiore durante i combattimenti e chiese al gabinetto di Sicurezza di votare  un solo piano: il primo, non quello di Mofaz, che pure aveva riscosso molta attenzione. Davanti alla scelta, anche Mofaz votò a favore e disse di averlo fatto perché in guerra non si vota contro il premier e contro il capo di stato maggiore, finendo così per ledere  il governo e  per depotenziare la catena di comando dell’esercito. 


Questi pesi e contrappesi sembrano saltati dentro al governo e nelle istituzioni israeliane, c’è sfiducia tra Netanyahu e i militari, tra Gallant e il primo ministro. Il premier israeliano dice che senza la pressione sul corridoio Filadelfi non si porterà mai Hamas ad accettare un accordo. Gli Stati Uniti, che sono i più ottimisti riguardo ai negoziati, non lo contraddicono, almeno pubblicamente. Secondo il sito di notizie Axios, ci sono lavori seri su dettagli concreti, l’ottimismo americano non sarebbe infondato: Israele e Hamas lavorano alla prima lista di ostaggi israeliani da liberare e prigionieri palestinesi da rilasciare in caso di accordo. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)