Un combattente ribelle sudanese osserva il villaggio abbandonato di Chero Kasi bruciare (Foto di Scott Nelson/Getty Images) 

editoriali

Preoccupiamoci del Sudan

Una guerra devastante e ignorata. Un appello ai paesi responsabili

La guerra in Sudan non la racconta mai nessuno. Eppure, ricorda l’Economist mettendola meritoriamente in copertina: 150 mila persone sono state uccise, i cadaveri impilati nelle strade si vedono dallo spazio; un quinto della popolazione, 10 milioni di persone, è stato costretto ad abbandonare la sua casa; è in corso una carestia che molti dicono sarà peggiore di quella tragica in Etiopia negli anni Ottanta: 2,5 milioni di persone potrebbero morire entro la fine dell’anno.

 

E’ la più grave crisi umanitaria del mondo e una “bomba a orologeria geopolitica”: gli stati mediorientali e la Russia sponsorizzano le due parti impuniti; l’occidente si è disimpegnato; l’Onu è paralizzato; la violenza destabilizza i paesi confinanti e costringerà gli sfollati a tentare di arrivare in Europa; l’implosione del paese affacciato per 800 chilometri sul Mar Rosso minaccia il Canale di Suez, un’arteria vitale del commercio globale. I belligeranti sono le Forze armate sudanesi (Saf) e una milizia paramilitare, le Rapid Support Forces (Rsf): nessuno ha un obiettivo ideologico o una identità etnica monolitica, entrambi vogliono il potere e non hanno scrupoli: Karthoum è distrutta, i civili sono bombardati e straziati (le Rsf sono accusate di stupri di massa e genocidio); visto dall’alto il paese è tutto fuochi e macerie. 
  

Dopo 500 giorni di guerra, ci vorranno anni per rimettere in piedi il Sudan. Ma è possibile salvare milioni di vite e ridurre la possibilità di conseguenze catastrofiche per tutti, se l’America, l’Europa e gli altri paesi responsabili agiscono subito e non si nascondono dietro a indifferenza e moralismi vari. “Per troppo tempo il Sudan è stata la guerra che praticamente tutti hanno deciso di ignorare – conclude l’Economist – E’ tempo di occuparsene”. 

Di più su questi argomenti: