Israele si blocca e chiede un accordo per liberare gli ostaggi

Micol Flammini

I soldati hanno trovato i cadaveri di sei rapiti uccisi da Hamas poco prima del loro arrivo. È iniziato uno sciopero generale nello stato ebraico per fare pressione sul governo. La rabbia, la risposta del premier, le richieste

È una giornata lunghissima quella che aspetta Israele. Il paese si chiude, si ferma, si arrabbia come lo scorso anno, prima del 7 ottobre. Questa volta il blocco è diverso, Tel Aviv e altre città dello stato ebraico si fermano non perché di mezzo ci sia la riforma della Corte suprema, la Giustizia, l’assetto istituzionale che il primo ministro Benjamin Netanyahu vorrebbe cambiare. Tutto si blocca perché il paese trova insostenibile che Hamas abbia ucciso sei ostaggi con un colpo alla testa mentre un negoziato tempestivo li avrebbe potuti liberare. Invece di negoziare, dicono i manifestanti, il premier parlava del corridoio Filadelfia, della striscia di terra che divide l’Egitto e Gaza, in cui vuole a ogni costo mantenere la presenza di Tsahal. 

 

 

Hersh Goldberg Polin, Carmel Gat, Ori Danino, Alex Lobanov, Almog Sarusi, Eden Yerushalmi sono stati trovati morti un tunnel di Rafah. Un colpo alla testa, vari sul corpo. I terroristi di Hamas li hanno uccisi tra le 48 e le 72 ore prima che i soldati riuscissero a trovarli, mentre setacciavano i tunnel della città nel sud della Striscia, da dove la scorsa settimana aveva salvato Farhan al Qadi, l’ostaggio beduino che aveva avuto la fortuna di essere abbandonato dai suoi secondini quando avevano sentito Tsahal avvicinarsi. Hersh, Carmel, Eden, Ori, Alex e Almog invece sono stati giustiziati, i loro corpi sono stati trovati venerdì notte, sabato mattina erano stati identificati: i loro cadaveri raccontavano di privazioni, sofferenze e ferite. Hersh aveva perso una mano, era comparso in un video di propaganda di Hamas mentre criticava il premier. I suoi genitori, Rachel e Jon, mercoledì scorso erano andati al confine con Gaza, avevano urlato il suo nome, avevano detto “resisti, ti vogliamo bene”. Hersh aveva resistito, fino all’esecuzione di Hamas e sapere che in caso di accordo, lui e Carmel sarebbero stati tra i primi a essere liberati ha fatto infuriare ancora di più gli israeliani.

Netanyahu si è presentato ieri davanti alle telecamere con poche parole: gli israeliani lo sentono ormai lontano dalla tragedia del 7 ottobre, dagli ostaggi e dalle loro famiglie e la sua freddezza infiamma la rabbia. Ieri il premier ha detto che chi uccide gli ostaggi non vuole negoziare, non va verso un accordo, chi oggi protesta invece crede che sia questo il momento per accettare qualsiasi soluzione negoziale

 

 

Oggi protestano tutte le categorie, i bar e i ristoranti tirano giù le saracinesche, l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv resterà fermo. La destra estrema accusa chi scende in strada di offrire un grande regalo al leader di Hamas Yahya Sinwar. Chi protesta pensa che ci sia soltanto una cosa da fare: portare via dalla Striscia chi è rimasto, sono più di novanta, sempre meno ostaggi sono vivi, costi quel che costi.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)