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I canti delle donne afghane contro i talebani

Enrico Cicchetti

Una nuova legge impedisce alle donne di fare sentire la loro voce in pubblico. Una “apartheid di genere”, dice l'Onu. Ma dall'Afghanistan e da tutto il mondo i loro video con le canzoni di protesta contro il regime arrivano sul web, ultimo spiraglio di libertà

Alle donne in Afghanistan è stato impedito di frequentare scuole e università e di partecipare a quasi ogni altro ambito della vita pubblica. Ora i talebani hanno proibito loro di fare sentire la loro voce in pubblico, di leggere ad alta voce o di cantare. Una nuova legge, una delle poche che i talebani hanno pubblicato sulla gazzetta ufficiale da quando hanno preso il potere tre anni fa, richiede inoltre alle donne di coprirsi il volto e di essere accompagnate da un tutore maschio quando viaggiano o usano i mezzi pubblici. Ora è anche proibito loro di fare amicizia con altre donne considerate "infedeli". Le Nazioni Unite l'hanno descritta come una “apartheid di genere”. Nelle ultime settimane, in risposta alla brutalità normativa dei talebani, alcune afghane stanno pubblicando dei video nei quali cantano, da sole o in piccoli gruppi, seguiti da hashtag come “#La mia voce non è proibita” e “#No ai talebani”. Li diffondono su internet e sui social media, uno dei pochissimi, piccoli spazi di libertà residua.

  

   

I video di protesta sono registrati sia in Afghanistan sia all’estero. L'attivista Golsoom Efat, per esempio, si è unita alla campagna dal Badakhshan, una provincia molto remota dell'Afghanistan.

  

    

In un altro video si vede una donna vestita di nero dalla testa ai piedi. "Hai messo a tacere la mia voce", canta con il volto nascosto da un lungo velo. "Mi hai imprigionata in casa per il crimine di essere una donna". Alcune di loro sono donne afghane emigrate all’estero, come Taiba Sulaimani, che si trova in Canada dal 2021, da quando i talebani ripresero il potere nel paese. "Non andiamo sul campo con una pistola, ma con la nostra voce, la nostra immagine", ha detto Hoda Khamosh, scrittrice e fondatrice del movimento per la giustizia delle donne afghane, che vive in Norvegia. Anche lei ha pubblicato un video nel tentativo di dimostrare "che noi donne non siamo solo pochi individui che possono essere cancellati".

   

   

Il regime cerca di limitare l'uso di Internet, ma non riesce a vietare del tutto le piattaforme social, mentre adottare controlli del web in stile cinese sarebbe troppo costoso. Sebbene abbiano vietato TikTok per "contenuti non islamici" si possono eludere i blocchi tramite Vpn (una “rete privata virtuale”, un servizio che protegge la connessione internet e la privacy online) e allo contempo i talebani stessi sono grandi utilizzatori di piattaforme come YouTube e X e i funzionari governativi comunicano via WhatsApp. Così il web diventa uno spiraglio anche per le donne oppresse dai talebani, sebbene non possa sostituire la vera libertà. 

  

   

Intervistate dal Washington Post, alcune donne di Kabul hanno spiegato che "imparano le lingue straniere con l'aiuto di chatbot AI ed e-book e commerciano criptovalute nella speranza di diventare finanziariamente indipendenti. Hanno cercato di compensare la chiusura dei cinema, la chiusura delle palestre per donne e il divieto della musica rivolgendosi all'abbondante offerta di spettacoli comici, corsi di fitness e video musicali su YouTube". I corsi online offrono ad alcune donne e ragazze afghane una possibilità per continuare la loro istruzione. Diverse università e istituti di istruzione hanno creato corsi e offerto borse di studio per assisterle: la americana University of the People e la Future Learn del Regno Unito, per esempio, hanno segnalato l'interesse di migliaia di nuovi candidati da quando è stato vietato alle donne afghane l'accesso all'università. Tuttavia, la portata di iniziative come queste dipende dall'accesso a Internet, che rimane scarso nella maggior parte del paese. Nel sondaggio mondiale realizzato dalla società di consulenza americana Gallup nel 2022, solo il 15 per cento di tutti gli afghani ha dichiarato di avere accesso alla rete (un dato rimasto stabile dal 2016).

  

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  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti