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L'analisi

Così la sorpresa di Kursk ha cambiato la guerra in diretta social

Marco Mondini

Oggi basta un telefonino e una telecamera da agganciare all'elmetto e ogni soldato può essere un cronista di guerra improvvisato. Una tendenza che va avanti dallo scoppio della guerra in Ucraina ma che la recente controffensiva in Russia ha contribuito a interrompere

Milbloggers è una delle parole chiave per capire la complessa natura del conflitto in Ucraina: blogger militari. Chiunque lo può essere. Basta un telefono connesso alla rete, una telecamera da agganciare all’elmetto e ogni soldato si trasforma in un cronista improvvisato. Via Telegram, X, Instagram, Facebook. Dipende da quanto abili si è a sfuggire alle regole stabilite dagli uffici stampa e comunicazione del proprio esercito. Che detestano questi irregolari delle notizie dal fronte almeno tanto quanto i media e gli analisti occidentali li amano. Perché i milbloggers sono incontrollabili, inaffidabili e, nel caso dei russi, decisamente faziosi. Ma offrono anche un’alluvione di informazioni dettagliate e preziosissime. Quale brigata sta combattendo dove, quale villaggio è caduto o sta resistendo.
 

L’Institute for the Study of War, una delle fonti a cui quotidiani e tv si abbeverano più volentieri, realizza le sue mappe della situazione sul campo incrociando sistematicamente i filmati e i post dei combattenti russi e ucraini. Che stanno al giornalismo critico degli inviati di mestiere come il chiacchiericcio da talk show a un saggio scientifico, certo. Ma va bene comunque. Perché anche per l’inviato più determinato essere ovunque su questo fronte sterminato di migliaia di chilometri quadri è impossibile. Perché l’alternativa sarebbe affidarsi alle asettiche e molto addomesticate informative degli uffici stampa di armata. E, soprattutto, perché il pubblico occidentale è assetato di informazioni. Pretende il racconto in diretta di una guerra che è diventata un grande social, dove tutto deve essere visibile in tempo reale e nulla deve sorprendere.
 

O dovrebbe. Già, perché l’incursione (o offensiva) ucraina nella regione di Kursk, lanciata il 6 agosto, ha colto completamente impreparato l’esercito russo, provocato il panico a Mosca e destato l’entusiasmo di Kyiv e alleati. Ma, soprattutto, ha riportato la categoria di sorpresa nell’arte della guerra contemporanea. “La sorpresa è tornata”, ha titolato in un rapporto il think tank di analisti Atlantic Council. Tornata dopo una non lunga assenza, bisognerebbe aggiungere, visto che di offensive brillanti e discrete che hanno travolto un nemico ignaro è ricca la storia militare contemporanea. Molte sono state ricordate, normalmente a sproposito, in questi giorni. Caporetto, per rimanere a casa nostra, nel 1917, quando sembrò che gli austro-tedeschi dovessero arrivare a Venezia. Il colpo di falce tedesco, che nel giugno 1940 costrinse la possente Francia alla resa in meno di venti giorni. O la stessa operazione Barbarossa nel giugno 1941, quando tre milioni e mezzo di tedeschi si radunarono lungo la frontiera tra Terzo Reich e Urss e attaccarono, apparentemente senza che Stalin e i suoi generali se ne accorgessero fino all’ultimo minuto. Gli autocrati al Cremlino, del resto, hanno sempre avuto una certa predilezione per minare l’efficienza delle proprie armate, nominando i comandanti sulla base della fedeltà politica, della devozione e dell’abilità nel non contraddire mai il capo. La più gettonata delle operazioni citate (a torto) negli ultimi giorni, comunque, è stata l’offensiva delle Ardenne del dicembre 1944, quando con le ultime riserve di corazzati (e benzina) i tedeschi cercarono di rallentare l’avanzata alleata sul Reno.
 

Che a farlo sia stata la specializzata Analisi Difesa o l’eurodeputato e generale in aspettativa Vannacci in un’intervista, dimostra che le comparazioni frettolose sono sempre una trappola anche per gli esperti, o che la malafede ideologica si annida anche tra le pagine più autorevoli. L’operazione Nebbia autunnale del 1944 fu il gesto disperato di un dittatore sotto assedio che sentiva prossima la fine, un piano brillante lanciato senza risorse adeguate che ebbe come unico risultato quello di affrettare la distruzione di ciò che restava della Wehrmacht a ovest. Sui risultati dell’offensiva ucraina di agosto si discute molto, e verosimilmente saranno inferiori alle attese, o addirittura controproducenti. Ma a Kyiv non siede un dittatore, l’Ucraina è sostenuta da un valido schieramento di alleati che credono nella difesa della liberaldemocrazia, e i russi non stanno per vincere.
 

Dunque, con buona pace del generale Vannacci, Ardenne ’44 e Kursk 2024 non c’entrano nulla l’una con l’altra. Se non nelle ragioni psicologiche della sorpresa. Entrambe vennero lanciate scompaginando i bei sogni confortevoli di eserciti che pensavano di aver già vinto, e in cui una rigida catena di comando e controllo era affidata a uomini arroganti, pronti a raccogliere l’alloro di un trionfo certo. Certo, per gli ucraini tenere nascoste le proprie intenzioni è stato assai più difficile che per i tedeschi nell’inverno di ottant’anni fa. Hanno dovuto celare i propri piani agli alleati e persino a molti dei propri generali e ministri, per evitare ogni fuga di notizie. Ma ci sono riusciti. Non arriveranno a Mosca, e neanche a Kursk (per ora, seicento prigionieri sono il bottino più impressionante che abbiano raccolto). Ma hanno infranto le regole della guerra-social.

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