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Dopo le elezioni

Il populismo gesuita di Maduro che tiene in pugno il Venezuela

Loris Zanatta

A un mese dalle elezioni, continuiamo a chiedere che il regime di Caracas mostri i dati ufficiali, mentre fingiamo di credere che li abbia ma non li trovi, aspettando la decisione del tribunale costituzionale. Intanto il regime minaccia, arresta, tortura e uccide

Qualcosa di mostruoso accade in Venezuela. Di mostruoso e cinico. Tutti sanno che il Re è nudo ma fingono sia vestito di tutto punto. Sappiamo tutti, lo sanno anche le pietre, lo urlano i machachi urlatori che Maduro ha rubato, che le elezioni sono state una farsa, che è molto se ha raccolto un terzo dei voti. Nonostante l’inibizione della candidata più popolare, gli ostacoli al voto all’estero, la propaganda col denaro pubblico, la violenza dei paramilitari. E invece no, a un mese dalle elezioni siamo ancora tutti qui a chiedergli di mostrarci i dati ufficiali, a fingere di credere che li abbia ma non li trovi, a fingere di fingere di aspettare una decisione del tribunale costituzionale, che i più finti dei finti creduloni credono sia indipendente. Intanto il regime minaccia, arresta, mena, tortura, uccide. La finzione cui i democratici sono costretti perché combattono a mani nude e in cui sguazzano i nemici della democrazia che tra le mani hanno i soldi e le armi, cela una questione politica. E tanto è bizantino il teatro quanto semplice la posta della commedia: ci sarà ancora democrazia in America latina?
  

Il regime venezuelano non è mai stato una “democrazia partecipativa”, è sempre stato un “populismo gesuita”. Le immagini di Maduro che chiede perdono a Cristo per i peccati del suo governo, i ministri invasati che espiano a colpi sul petto, oltre a far ridere, spiegano più di tante parole. Il “progressismo” ama la coscienza individuale e la libertà personale, è umanista e pluralista. O no? Il chavismo è l’opposto! E’ frutto di tutt’altra pianta che dà ben altri frutti: il primato del “popolo” sulla persona, della devozione sulla ragione, dell’unanimità sulla pluralità. E’ un “fascismo di sinistra”, un “comunismo di destra”, il millesimo erede dello stato confessionale in eterna guerra contro i Lumi: Ein Volk, En Reich, Ein Caudillo.
  

Fin qui il Venezuela. Caso vuole però che il chavismo oggi come il castrismo ieri e il peronismo l’altro ieri abbiano preteso di ergersi a modelli e di esportarli. Ora, se fallisce un regime che s’è eretto a modello, va da sé che non sia solo il regime a finire sulla graticola ma anche il suo modello. Almeno per chi pensa in modo razionale, perché i devoti saranno sempre pronti a buttarsi col Messia nel fuoco. E il fallimento del modello chavista è strepitoso. Più che strepitoso criminale. Così criminale da ergersi a miglior vetrina al mondo di ciò che pretendeva di distruggere: il liberalismo e il capitalismo. Perciò non è solo questione di Venezuela. Non a caso il cerino l’hanno in mano Brasile, Colombia e Messico: poiché sono amici di Maduro, recita la vulgata, possono convincerlo a farsi da parte. È quello che vogliono? Non ci credo finché non lo vedo. Visti i potenziali effetti a cascata del crollo del regime venezuelano, temo che recitino la commedia, che gli comprino tempo in attesa che i venezuelani si rassegnino o lascino il paese. 
 

Fantasie? Maduro l’ha fatta troppo sporca per uscirne indenne? Spero. Ma se i paesi alleati gli tengono bordone e i militari su cui poggia non si spezzano, perché dovrebbe cadere? Ha in mano tutte le leve del potere! Non solo: da Mosca a Pechino, da Teheran ad Ankara, lo sostengono in molti! È già successo molte volte che l’aiutassero a venirne fuori quando l’acqua gli saliva alla gola. Così capita coi “modelli”, se cadono si trascinano gli emuli, vanno tenuti in piedi anche se non lo meritano. Cuba ci campa da decenni. 
 

I suoi più efficaci salvagente sono stati i socialisti spagnoli e Papa Francesco.  L’ex primo ministro Zapatero s’è guadagnato l’odio dei venezuelani democratici. Si fingeva arbitro ma giocava nella squadra di Maduro. Bergoglio gli dava corda. Ogni volta che sembrava col piede nella fossa, gli allungava una cima: un’udienza, una promessa di mediazione. Ci stiamo lavorando dietro le quinte, diceva il cardinale Parolin. Ma dalle quinte, silenzio tombale. Intanto l’opposizione disarmava e Maduro rimaneva in sella.
 

Il caso del Papa va spiegato, perché spiega molte cose. Il regime chavista non è certo un modello di regime cristiano. L’episcopato venezuelano lo definisce “totalitario”. Vanta però origine “nazional popolare”, il tipo di regime che Bergoglio ha sempre perorato. I gesuiti l’aiutarono a nascere. Sa bene che è impopolare. Ma qual è l’alternativa? Se sono gli odiati “ceti coloniali”, meglio Maduro. Infatti scavalca spesso e volentieri i vescovi locali. Non era capitato anche alla Chiesa argentina di rompere col peronismo, salvo fare marcia indietro? Per il Papa non è mai stata questione di dittatura e democrazia: in Venezuela vede lo scontro che l’ha sempre ossessionato tra il “popolo fedele” e le “élite illuminate”.
 

Dunque? Il Papa silente e Lula ambivalente staranno valutando i pro e i contro. Che fare con Maduro? Dargli altro tempo? Lasciarlo cadere? In mancanza di un nuovo leader capace di riconquistare “il popolo” rinverdendo i fasti del chavismo originario, è probabile che chiedano “garanzie” a Maria Corina Machado. Che le esigano in cambio di aiuto di condividere il potere. Una trappola per chi sa che da lei i venezuelani s’aspettano un taglio netto col passato. Ma anche Lula e amici farebbero bene a valutare bene il da farsi: se Maduro la farà franca, la democrazia sarà morta per tutti e quel che oggi incassa la “sinistra” domani lo reclamerà la “destra”. Ci siamo già passati? La storia non è mai stata magistra vitae.

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