Cosa c'è dietro la scelta nominare premier Barnier, secondo un osservatore della prima ora del macronismo
L'ex capo negoziatore dell’Ue per la Brexit tornato all’improvviso al centro della scena politica francese ha promesso “cambiamenti e rotture” ma "non toccherà la riforma delle pensioni e nemmeno le varie riforme del lavoro", dice Bourmaud, giornalista dell’Opinion
Parigi. Oltre al principio di “non-censurabilità”, a guidare il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nella scelta di Michel Barnier come primo ministro è stata la garanzia che il nuovo inquilino di Matignon non smonterà pezzo dopo pezzo quanto costruito in sette anni, come invece aveva minacciato il Nuovo fronte popolare (Nfp), la coalizione delle sinistre. “La preservazione dell’eredità, ossia delle riforme votate durante il primo mandato e l’inizio del secondo, è l’altra bussola che ha orientato Macron nella sua decisione”, spiega al Foglio François-Xavier Bourmaud, giornalista dell’Opinion e osservatore della prima ora del macronismo. Nfp, tramite la candidata designata Lucie Castets, aveva promesso di abrogare una dopo l’altra le riforme di Macron, a partire da quella delle pensioni.
Giovedì, Barnier, ex capo negoziatore dell’Ue per la Brexit tornato all’improvviso al centro della scena politica dopo aver perso nel 2021 le primarie dei Républicains per la scelta del candidato alle presidenziali del 2022, ha promesso “cambiamenti e rotture” rispetto al macronismo. “Ma non toccherà la riforma delle pensioni e nemmeno le varie riforme del lavoro”, assicura Bourmaud. Il rischio più grande per Barnier è quello di una censura, anche se per ora il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella non ha intenzione di far cadere il neonato esecutivo, che dovrà trovare la quadra sulla prossima finanziaria entro il prossimo 1° ottobre, sotto il peso di un debito di 3.160 miliardi e una procedura per deficit eccessivo avviata da Bruxelles lo scorso giugno.
Per Le Pen, l’ex ministro degli Esteri di Jacques Chirac “sembra rispondere al primo criterio che abbiamo reclamato, è un uomo rispettoso e capace di rivolgersi a Rn, che è il primo gruppo all’Assemblée nationale, nello stesso modo in cui si rivolge agli altri gruppi”. Prima di posizionarsi, ha aggiunto la madrina del sovranismo francese, Rn “aspetterà il suo discorso di politica generale”. “Ma anche nel caso in cui decidesse di presentare una mozione di sfiducia, con i suoi 142 deputati, il partito lepenista avrebbe bisogno del voto dei socialisti e dei mélenchonisti per raggiungere la maggioranza necessaria a far cadere il governo (almeno 289 deputati, ndr). Uno scenario che ha pochissime speranze di concretizzarsi”, dice Bourmaud.
Uscito dalle legislative con il più alto numero di deputati, 193, il fronte delle sinistre si ritrova a Matignon un primo ministro di destra, esponente di un partito arrivato praticamente ultimo alle elezioni, 6,5 per cento al primo turno e 47 deputati. Per Bourmaud, Nfp paga soprattutto gli eccessi della France insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon. “In una scala della frustrazione da uno a dieci Lfi è già a dieci: hanno raggiunto il picco. La loro agitazione e il loro oltranzismo si è rivelato controproducente per Nfp. L’unica possibilità di guastare la festa per gli Insoumis è quella di votare una mozione di censura presentata da Marine Le Pen. Ma sarebbe un harakiri: l’accusa che muovono nei confronti di Macron – essere sceso a patti con il Rassemblement national – si ritorcerebbe contro, poiché anche loro avrebbero bisogno di Rn”, spiega al Foglio Bourmaud. “La vera incognita è come reagirà l’elettorato di sinistra alla frustrazione di avere un premier di destra a Matignon dopo aver ottenuto il maggior numero di deputati. Le legislative, tuttavia, hanno permesso di evidenziare solo ciò che gli elettori non volevano, Rn al governo, ma non in maniera chiara ciò che volevano”.
Con la nomina di un veterano della politica come Barnier, di un uomo che ha attraversato tutte le stagioni della destra e viene da una delle due famiglie storiche della Quinta Repubblica, “la promessa iniziale del macronismo, quella del superamento dei vecchi steccati della politica, è venuta meno”, secondo Bourmaud. “Le legislative sono state una sorta di crash-test del superamento delle vecchie categorie politiche e questo crash-test è fallito. Se avesse funzionato, avremmo una coalizione che va da Lr al Ps passando dal blocco centrale. Ci troviamo invece con un’alleanza del macronismo con la destra gollista che lascia i socialisti da parte”.