L'asse globale della disinformazione

Giulia Pompili

Il modello originario è russo, poi adottato anche dall’Iran e dalla Cina. L’America cerca di proteggere le sue elezioni sanzionando Rt. Il documento dell’Fbi su troll e manipolazioni in Europa

Al di là delle attività militari e diplomatiche, è la disinformazione a rivelare sempre di più le alleanze e la geografia dei paesi che vogliono demolire il sistema democratico internazionale. E’ l’asse della disinformazione, che ha come perno (e origine) la Russia di Vladimir Putin, in un sistema copiato e poi riutilizzato anche dalla Repubblica popolare cinese e, più di recente, anche dall’Iran. La disinformazione di Mosca, Pechino e Teheran ha obiettivi diversi, ma spesso si sovrappone, si confonde, e ha quasi sempre un unico fine: creare il caos, divisioni e versioni verosimili della storia. Da almeno otto anni, cioè dalle influenze russe sulle elezioni presidenziali del 2016, l’America ha messo in piedi un sistema per contrastare il più possibile la disinformazione inserendola come parte integrante della sua sicurezza nazionale. Ma per quanto riguarda l’Europa la consapevolezza della minaccia è ancora molto arretrata. Soprattutto in Italia. 

 

Le sanzioni imposte l’altro ieri dal Tesoro americano contro Rt, quella che un tempo si chiamava Russia Today, uno dei principali organi di disinformazione del Cremlino, rivelano un nuovo tentativo di strategia per contrastare la manipolazione delle informazioni da parte del governo americano. Da tempo le agenzie d’intelligence e gli analisti cercano di capire come fermare o attenuare gli effetti della disinformazione globale, che avvelena il dibattito e le opinioni pubbliche: in passato la strategia è sempre stata quella della reazione alle fake news – smentirle dando quanto più possibile informazioni chiare e veritiere. Ma col tempo quella strategia si è rivelata troppo lenta e macchinosa, e non per forza di successo. Dunque ora si è passati a una nuova fase: quella proattiva, in cui si cerca di prevenire che il veleno arrivi e si diffonda. L’azione legale americana dell’altro ieri, che riguarda il sequestro di più di trenta siti internet e sanzioni contro la direttrice di Rt, Margarita Simonyan, e la sua vice Elizaveta Brodskaia, a due mesi dalle elezioni presidenziali vanno in questa direzione. Secondo il dipartimento di stato americano “ora sappiamo che Rt, precedentemente nota come Russia Today, è andata oltre la semplice organizzazione mediatica”. E l’ha fatto stipulando “un contratto con una società privata per pagare milioni di dollari ad americani inconsapevoli affinché portino il messaggio del Cremlino per influenzare le elezioni americane e minare la democrazia. Inoltre, la leadership di Rt è direttamente e consapevolmente a conoscenza di questa impresa”.

 

Il dipartimento di Giustizia ha sequestrato più di trenta domini web che farebbero parte di una più ampia operazione del governo russo per influenzare l’opinione pubblica americana e quindi, direttamente, anche il voto di novembre. C’è di mezzo anche la gigantesca operazione cosiddetta Doppelgänger, un caso di scuola ormai per chi si occupa di guerra ibrida: due anni fa vennero scoperti decine di siti internet dall’estetica pressoché identica a quella di siti di news internazionali che pubblicavano, tra le altre cose, notizie contro l’Ucraina e a favore di Mosca. Nonostante i tentativi di azzerare Doppelgänger in questi due anni, ancora fino a poco tempo fa online si trovavano decine di siti internet che pubblicavano notizie e propaganda pro russa del tutto simili a giornali e media anche americani come il Washington Post e Fox News. Ieri in una conferenza stampa il procuratore generale Merrick Garland ha detto che l’azione di sequestro e sanzioni contro la disinformazione di stato russa ha un messaggio chiaro: “Non abbiamo alcuna tolleranza per i tentativi dei regimi autoritari di sfruttare il nostro sistema democratico di governo”. E l’altro messaggio, quello rivolto a Pechino e Teheran, l’ha esplicitato poi il direttore dell’Fbi Christopher Wray: “Saremo implacabili e aggressivi nel contrastare e interrompere i tentativi di Russia e Iran, così come della Cina o di qualsiasi altro attore maligno straniero di interferire nelle nostre elezioni e minare la nostra democrazia”. 

 

 

L’America conosce i rischi che corre, ma l’Europa – e soprattutto i singoli paesi europei – sembra ancora indietro nelle misure di contrasto alla guerra ibrida di Russia, Cina e Iran. Nel documento delle indagini dell’Fbi, lungo 277 pagine, si torna a parlare del ruolo di società russe, direttamente collegate al Cremlino e la Duma, come la Social design agency e Structura, entrambe fondate dal misterioso e sanzionatissimo uomo della disinformazione che forse ha preso il posto di Evgenij Prigozhin, Ilya Gambashidze. Già lo scorso anno l’Unione europea ha imposto sanzioni contro quelle società per via del loro ruolo nella disinformazione in Europa, eppure il loro lavoro non si è mai fermato. Scrive Politico che la Social design agency “agisce sotto gli ordini del vicecapo di gabinetto del presidente russo Vladimir Putin, Sergey Kiriyenko”, e in alcuni documenti intercettati dall’Fbi si legge come abbia ormai capito come bucare le politiche anti troll dei social media occidentali “attraverso post e commenti reali sui social media”, cercando di stimolare nel pubblico reazioni sia razionali sia emotive, usando influencer con migliaia di follower, espressioni e dichiarazioni a effetto e vignette e immagini create ad hoc. Nel memo, inoltre, si legge che la  Social design agency è in grado di creare un migliaio “di commenti al giorno per paese”, quindi in lingua, ma “sessantamila commenti al mese per Francia e Germania insieme”. E’ la Germania, secondo l’indagine dell’Fbi, il paese considerato dai russi più vulnerabile alla propaganda, perché probabilmente considerati più dipendenti economicamente dalla Russia. In un’altra nota intercettata dall’Fbi si legge l’obiettivo primario delle operazioni di disinformazione e guerra cognitiva in Europa: “In primo luogo, dobbiamo screditare gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Nato”, e in secondo luogo convincere che “la politica delle sanzioni è inefficiente”. Qualche giorno fa la Alliance4Europe, una ong che ha creato il Counter Disinformation Network composto da 130 analisti dell’informazione, ha pubblicato uno dei suoi ultimi studi: fra il 4 e il 28 giugno del 2024, cioè nel periodo delle elezioni europee, “1.366 account hanno pubblicato 1.366 post filorussi su X (formalmente Twitter), che sono stati poi amplificati da molti altri account in risposta a contenuti di terzi”. Tutte le interazioni,  in tedesco, francese, inglese, italiano, polacco e ucraino che hanno raggiunto oltre 4,66 milioni di visualizzazioni alla fine di giugno, sembrano di persone autentiche. La disinformazione in Italia, secondo il gruppo di esperti, riguarda il sostegno a partiti politici di estrema destra con idee favorevoli alla Russia, e per il 35,9 per cento s’inserisce in una narrazione polarizzante, e fanno leva sull’euroscetticismo che serve per “erodere il sostegno all’Ucraina”, dipingendo il governo come un burattino nelle mani degli alleati occidentali.

 

 

Se per la Russia la manipolazione dell’informazione e la guerra psicologica anche in Europa serve soprattutto a minare il sostegno a Kyiv, negli ultimi mesi un nuovo attore è entrato nell’arena del caos informativo, l’Iran, e l’ha fatto soprattutto per “utilizzare i social media per fomentare le proteste organizzate dagli studenti contro la guerra di Israele a Gaza, con agenti che hanno fornito assistenza finanziaria e si sono spacciati per studenti”, secondo quanto riscontrato dall’intelligence americana e riportato l’altro ieri in una lunga inchiesta del New York Times. L’Iran, assieme alla Corea del nord, è sempre stato una delle minacce fondamentali del cyberspazio soprattutto nelle attività di hackeraggio e furto delle informazioni. Nel 2011 Khamenei definì il cyberspazio la nuova frontiera del jihad e della guerra dell’informazione iraniana, fu creato il Consiglio Supremo del Cyberspazio, ma la propaganda da allora si è sempre fermata ai media tradizionali, con effetti sui social network poco evidenti soprattutto perché rivolta a un pubblico non occidentale. Secondo l’intelligence americana e l’inchiesta del New York Times, però, qualcosa è cambiato: “Le cose sono cambiate dopo che il presidente Trump ha abbandonato l’accordo nucleare del 2015 e ha imposto severe sanzioni economiche” e l’assassinio nel 2020 a Baghdad di Qassim Suleimani. “Da allora le operazioni di influenza legate all’Iran hanno subito un’accelerazione, ha osservato Microsoft in un rapporto dello scorso anno”, scrive il New York Times. “I ricercatori dell’azienda hanno identificato sette campagne distinte nel 2021; un anno dopo erano 24”. Già alla fine del 2022 il social network X ha identificato almeno due campagne iraniane d’influenza, composte per lo più da finti cittadini americani pro Palestina. Con l’approssimarsi delle elezioni americane di novembre, l’Iran adesso si prepara a un ulteriore salto paragonabile a quello russo: secondo Microsoft e OpenAI ci sono online già cinque siti web di disinformazione diretta agli americani contro il sostegno di Washington a Israele e che mirano a minare la fiducia degli americani nelle istituzioni. Le operazioni disinformative dell’Iran attraverso siti internet di false news come NioThinker e Savannah Time sono soprattutto contro Trump, ma di recente hanno iniziato a prendere di mira anche i democratici e Kamala Harris. Secondo quanto raccolto dall’intelligence, l’Iran sarebbe pronto a stabilire e ampliare le sue tattiche di guerra cognitiva “con l’impiego di squadre di troll sui social media”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.