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l'analisi

Le vie di chi sfugge alle sanzioni alla Russia

David Carretta

L’Unione europea non sa fermare i prodotti vietati che aiutano la guerra di Putin. I pacchetti di sanzioni sono quattordici, ma i diversi paesi non riescono a (o non hanno la volontà di) metterli in pratica fino in fondo

Bruxelles. Robin Brooks, ricercatore della Brookings Institution, due giorni fa ha pubblicato un post su X che mostra l’aumento delle esportazioni dell’Italia verso il Kirghizistan dal febbraio del 2022 al maggio del 2024. La crescita in termini relativi è impressionante: più 2.200 per cento confrontato al periodo prima dell’invasione dell’Ucraina e l’introduzione delle sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. “Non devi essere un genio per sapere che questa roba sta andando in Russia”, ha ironizzato Brooks. “Due anni di questa assurdità e l’Ue si limita a guardare altrove”, ha aggiunto. L’Italia è lungi dall’essere un caso isolato, ma costituisce uno dei tanti anelli deboli nell’attuazione delle sanzioni. Il 23 agosto il dipartimento del Tesoro americano ha sanzionato due imprese e quattro cittadini italiani perché accusati di aggirare le sanzioni occidentali lavorando con intermediari in paesi extraeuropei. Dietro alle cifre e alle sanzioni americane c’è il grande fenomeno dell’elusione delle sanzioni da parte della Russia, che continua a rifornirsi di materiale messo sotto embargo dall’occidente, compreso quello per fabbricare armi. I paesi europei hanno adottato quattordici pacchetti, ma non riescono a (o non hanno la volontà di) metterli in pratica fino in fondo.

 

L’Italia non è l’unico paese ad aver registrato un’esplosione delle esportazioni verso il Kirghizistan. Germania e Repubblica ceca hanno avuto incrementi simili. Le esportazioni da Polonia e Lituania si erano impennate prima di ricadere. In termini assoluti il valore può apparire insignificante. Appena 40 milioni di euro per l’Italia e circa 70 milioni per la Germania. Ma, oltre al Kirghizistan, sono aumentate significativamente le esportazioni verso altri paesi vicini alla Russia (dalla Turchia al Kazakistan, passando per la Georgia). La Cina, gli Emirati Arabi Uniti e lo Sri Lanka sono altre tre piattaforme che Mosca usa abitualmente per comprare materiali occidentali che le sono vietati e che sono in gran parte destinati all’industria bellica. Secondo alcune stime, tra il 70 e l’80 per cento delle componenti occidentali sotto embargo ritrovate nelle armi russe sul campo di battaglia in Ucraina transita dalla Cina o da Hong Kong. L’Unione europea ha nominato uno zar contro l’elusione delle sanzioni, David O’Sullivan, il cui compito è viaggiare per mezzo mondo a cercare di convincere i paesi terzi a bloccare le riesportazioni di merci europee verso la Russia. I suoi tour inseguono i dati delle esportazioni europee che vengono riesportate in Russia. Questo mese O’Sullivan sarà in Vietnam e Malesia. In un’intervista a Politico.eu in luglio ha riconosciuto i limiti della sua azione. “Abbiamo sollevato la questione con i cinesi, che va detto non sono particolarmente reattivi”, ha spiegato O’Sullivan. 

 

Nei quattordici pacchetti adottati finora, l’Ue ha cercato di chiudere falle e imporre una stretta all’elusione. Ha anche inserito decine di società con sede in Cina, a Hong Kong, negli Emirati Arabi Uniti e in Turchia nella sua lista nera. Ma la Russia è più rapida dei negoziati diplomatici europei per trovare nuovi intermediari, società e rotte per procurarsi i materiali sotto embargo. Lo scorso anno l’Ue si è data la possibilità di vietare le esportazioni di materiali sensibili verso i paesi che aiutano la Russia a eludere le sanzioni. Ma, a causa dell’opposizione di stati membri come Germania e Italia, non ha mai voluto usare questa possibilità. Secondo un’inchiesta del Financial Times, la Russia sta acquistando materiali sotto embargo in India, che è anche uno dei principali acquirenti del petrolio russo. Il G7 sperava di colpire le entrate del Cremlino attraverso il tetto al prezzo del greggio a 65 dollari. Ma il prezzo dell’Ural oggi è di poco inferiore al Brent. La Russia può continuare a riempire le casse per finanziare la sua guerra. Tra chi le ha facilitato il compito ci sono armatori greci che hanno venduto alla Russia le navi petroliere per creare una flotta fantasma.

 

Quando la Commissione viene interrogata sulla violazione delle sanzioni da parte di soggetti europei, la risposta è che spetta agli stati membri mettere in pratica le misure restrittive. La volontà di alcuni governi scarseggia. Le sanzioni americane del 23 agosto hanno colpito – tra le altre – la società italiana Fagima che, secondo un’inchiesta di Front Intelligence, ha fornito alla Russia macchinari per la produzione di missili russi. Nella lista nera degli Stati Uniti sono finite anche società con sede o legate all’Estonia, a Cipro e alla Francia. Tra le tante, c’è la società ungherese Matrix Metal, accusata di aver aggirato le sanzioni rifornendo la Russia con circuiti elettrici integrati per i jet Sukhoi.

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