Per Meta è lecito dire “Palestina libera (dagli ebrei) dal fiume al mare”
Il Consiglio di vigilanza della azienda di Facebook e Instagram ha stabilito che lo slogan di Hamas non è una forma di odio
A gennaio nel corso di un’intervista con un podcaster kuwaitiano, il leader di Hamas in esilio a Doha, Khaled Meshaal, ha detto: “Il 7 ottobre ha trasformato l’idea di liberare la Palestina dal fiume al mare in un’idea realistica già avviata. Non rinunceremo al nostro diritto alla Palestina nella sua interezza, dal Giordano al Mediterraneo, da Rosh Hanikra a Eilat”. Per questo lo slogan “Palestina libera dal fiume al mare” è stato appena vietato in Germania, dopo che il ministero della Giustizia tedesco ha stabilito che la frase è uno “slogan di Hamas”. E che andrebbe scandito meglio: “From the river to the sea, Palestine will be (Jew) free”.
Come dovrebbe essere gestita la libertà di parola su Internet? La posta in gioco è enorme e non ha trovato finora soluzione (pensiamo a X sotto Elon Musk). Così è nato il Consiglio di vigilanza di Meta, un’iniziativa del gigante dei social media che alcuni hanno paragonato a una “corte suprema” per la moderazione dei contenuti. Il Consiglio di Meta, la società che controlla Facebook e Istangram, ha appena stabilito che “From the River to the Sea” non viola le politiche aziendali in materia di “incitamento all’odio”.
Per i saggi di Meta, dipende tutto dal “contesto”, come da copione post 7 ottobre del segretario dell’Onu Guterres e delle rettrici di Harvard e del Mit. Lo slogan “Palestina libera dal fiume al mare” è stato proiettato anche sul Big Ben a Londra. Scorreva sulla Elizabeth Tower a grandi lettere, mentre migliaia di attivisti filopalestinesi si riunivano davanti a Westminster. La proiezione è stata autorizzata: la polizia metropolitana ha detto che lo slogan non rientra fra i reati perseguibili, ma nella normale libertà di espressione.
Impossibile immaginare che i saggi di Meta approvino slogan del tipo “From a sea to a shining sea, America will be (black) free”. E per capire il voto, bisogna vedere come numerosi membri del Consiglio di vigilanza hanno opinioni ferocemente anti israeliane. Fondato nel 2020 dal boss di Meta, Mark Zuckerberg, l’Oversight Board è composto da ventuno membri. Ci siede Tawakkol Karman, la yemenita premio Nobel per la pace, che lo scorso maggio in Vaticano ha detto che “il mondo è in silenzio di fronte al genocidio e alla pulizia etnica del popolo palestinese a Gaza”. Con lei, Alan Rusbridger, ex caporedattore del quotidiano britannico Guardian, ha scritto un articolo all'inizio di quest'anno sostenendo che gli “orrori del 7 ottobre non sono certamente accaduti nel vuoto”. E poi Endy Bayuni, caporedattore del Jakarta Post, che ha scritto una rubrica lo scorso aprile in cui sosteneva che l'Indonesia “dovrebbe essere vista come paladina di uno stato palestinese”, e Khaled Mansour, che ha scritto che “il regime dell’apartheid e l’occupazione israeliana sono la fonte principale del problema e la causa di questa sanguinosa violenza in cui i palestinesi pagano costi incommensurabilmente più pesanti degli israeliani”.
Il consiglio ha riconosciuto che una minoranza dei suoi membri ha dissentito dalla decisione (forse il giurista americano Paolo Carozza) e che la frase “dal fiume al mare” compare persino nello statuto di Hamas.
Qualche giorno fa, il Consiglio di Meta ha criticato Facebook per non aver rimosso due post. Nel primo caso, un utente di Facebook negli Stati Uniti ha pubblicato un video di una donna che affronta un uomo transgender per aver usato il bagno delle donne. Nel secondo caso, un account Instagram ha pubblicato il video di un transgender che vince una competizione sportiva femminile, con alcuni spettatori che hanno apertamente criticato il risultato. Il Consiglio ha chiesto a Meta di rimuovere questi post. C’è odio e odio, dunque. Dipende dal contesto, dall’ideologia, dal colpevole.