Colpire in Russia
Così Zelensky e Syrsky vogliono costringere Putin alla pace
Il presidente ucraino ringrazia gli alleati ma chiede di potersi difendere dall'aggressione russa con nuove regole. Il capo delle Forze armate spiega come l'operazione a Kursk ha cambiato ancora una volta, su iniziativa ucraina, le dinamiche del conflitto. Un documentario sulla Bbc racconta Zelensky e il carattere ucraino
Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, ha iniziato un tour europeo, Germania e Italia al Forum Ambrosetti di Cernobbio, e l’appuntamento finale è l’Assemblea generale dell’Onu a New York, per la presentazione del “piano per la vittoria”. Sempre riconoscente con gli alleati, Zelensky ringrazia, elogia il loro coraggio e chiede che le armi a lungo raggio – che scarseggiano – possano essere utilizzate anche in territorio russo: è l’unico modo perché Vladimir Putin sia costretto alla pace. Gli alleati marciano cauti e parchi, i media internazionali si occupano con fare scettico del rimpasto di governo a Kyiv denunciando l’accentramento di potere nel cerchio magico del presidente (da che pulpiti!), e danno poco peso alle parole del generale Oleksandr Syrsky.
Intervistato da Christiane Amanpour, che questa settimana ha fatto e disfatto conversazioni con la leadership di Kyiv nel bel mezzo del rimpasto, il capo delle Forze armate ucraine al suo debutto su un’emittente globale ha detto cose rilevanti e dettagliate sulla operazione nella regione russa di Kursk, la sorpresa d’agosto che ha cambiato, ancora una volta su iniziativa e creatività ucraine, gli equilibri del conflitto: “Ha ridotto la minaccia di un’offensiva nemica. Abbiamo impedito ai russi di agire. Abbiamo spostato i combattimenti sul territorio del nemico in modo che il nemico potesse sentire quello che sentiamo ogni giorno”. Syrsky spiega che l’Ucraina è sotto pressione nel Donbas, nella zona intorno a Pokrovsk, ma “negli ultimi sei giorni il nemico non ha fatto un metro di strada in direzione di Pokrovsk. In altre parole: la nostra strategia funziona. Abbiamo tolto ai russi la capacità di manovrare e dispiegare i rinforzi da altre direzioni, e questo indebolimento si è certamente fatto sentire in altre aree. Abbiamo notato che la quantità dei bombardamenti dell’artiglieria e l’intensità dell’offensiva sono diminuite”. Il generale sa che le forze russe sono superiori sotto ogni punto di vista – “il nemico ha un vantaggio in termini di aviazione, missili, artiglieria, nella quantità di munizioni che usano, naturalmente negli uomini, nei carri armati, nei veicoli da combattimento della fanteria” – ma questo ha spinto gli ucraini a farsi più furbi e più efficienti, a costruire una difesa sostenibile, quella su cui gli alleati continuano a questionare: “Non possiamo combattere nello stesso modo in cui combattono loro quindi prima di tutto dobbiamo avere un approccio efficiente, utilizzare forze e mezzi sfruttando al massimo le caratteristiche del terreno e la superiorità tecnologica”.
Syrsky è stato nominato nel febbraio scorso al posto di Valeri Zaluzhny, un generale volitivo, creativo, schietto: non fu un cambiamento indolore, anzi, ancora una volta i media internazionali parlarono di crisi, di accentramento di potere, di scontri personali irrimediabili, di mesti scenari di sconfitta. Zaluznhy oggi è ambasciatore nel Regno Unito, continua a essere rispettato e ascoltato, del suo rapporto con Zelensky si è smesso di parlare, Syrsky ha preso la guida dell’esercito, vive con i soldati – “il fronte è la mia vita”, ha detto ad Amanpour – fa dimenticare il suo soprannome “macellaio”, ha ogni giorno a che fare con risorse scarse, non si può permettere di far scarseggiare anche la speranza. L’Ucraina, la sua leadership e il suo popolo, ha dato prova di grande flessibilità, di capacità di adattamento e di propensione al rischio (che non è quasi mai disperazione), tutti i cambiamenti di personalità sono andati in questa direzione: sono forse queste la caratteristiche che definiscono questo conflitto, più delle analisi geopolitiche, delle ideologie di tifosi e detrattori, della stanchezza occidentale che da un anno condiziona decisioni e tempistiche. In “Zelensky Story”, un documentario in tre puntate in onda sulla Bbc e diretto da Michael Waldman, questo approccio alla guerra e alla vita, che nel caso del presidente ucraino e degli ucraini hanno preso tragicamente a coincidere, viene raccontato con immagini di repertorio, interviste, filmati che partono dagli anni Novanta e arrivano fino a oggi – parallelamente si racconta anche l’ascesa al potere di Vladimir Putin, gli incontri senza conoscersi quando Zelensky spopolava nel più importante show satirico della Russia e il presidente russo era nel pubblico, ridacchiava, diceva una cosa che oggi ci sembra anche la grande differenza non solo tra lui e Zelensky, ma anche tra le ambizioni che hanno per i loro popoli: “Mi piacciono le persone divertenti – diceva Putin – perché sono intelligenti, e hanno anche un dono inestimabile chiamato ottimismo”. Nell’ultima parte del documentario, c’è la guerra, Zelensky che salta e balla e si traveste sembra tutta un’altra storia: ora ci sono le medaglie ai caduti, gli incontri con le vedove, gli orfani, le macerie, i calcoli dolorosi che fanno la vita o la morte. E c’è una nuova fase che inizia, un rimpasto, una strategia diversa: Zelensky chiede agli alleati di fidarsi, gli ucraini hanno già dimostrato di meritarsi questa fiducia. L’obiettivo è sempre lo stesso, vincere, la modalità è costringere Putin alla pace, il desiderio è quello che Zelensky aveva a 17 anni, quando il Muro è caduto, quando era “cool”, quando esisteva solo il presente: “Libertà”.
Cosa c'è in gioco