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Nuovi assetti

L'Algeria al voto, pochi diritti e zero sorprese. Gli effetti sulla regione

Luca Gambardella

Dalle presidenziali algerine ci si aspettano ben poche svolte, con elettori disillusi e Tebboune dato per vincitore: una competizione elettorale iniqua intrisa di nazionalismo (e l'Italia spettatrice speciale)

Qualcuno in Algeria tirò un sospiro di sollievo quando nel 2019 il movimento dell’Hirak rimosse il regime di Abdelaziz Bouteflika e diede l’illusione di potere aprire una nuova stagione di riforme. Ma a ridosso del voto del dicembre di quello stesso anno, gran parte di chi aveva preso le strade per mesi dovette ricredersi. Il cambiamento vero e la concessione dei diritti civili erano impossibili senza un vero ricambio della classe dirigente. Quelle elezioni somigliarono a uno specchietto per le allodole, poco più che un espediente per liberare le piazze dai manifestanti. Alle urne si presentò meno del 40 per cento degli aventi diritto, un dato contestato perché per molti quello reale fu persino tre volte più basso. Nessuno voleva votare e chi ci andò scelse in maggioranza un ex ministro del vecchio regime appena spodestato. Vinse Abdelmadjid Tebboune e oggi, a distanza di cinque anni, si parla di un nuovo regime ad Algeri. 


Il voto alle presidenziali di oggi preannuncia ben poche sorprese e il dibattito pubblico si limita alle reali possibilità qualche persona in più alle urne. Ma gli algerini sembrano disillusi e disinteressati. I sondaggi danno Tebboune in netto vantaggio sugli altri due candidati, il socialista Youcef Aouchiche e l’islamista Abdelaali Hassani Cherif. Sono gli unici a essersi salvati dalla censura preventiva di Tebboune. Molti, fra questi Louisa Hanoune, leader del Movimento dei lavoratori già finita in carcere nel 2020, hanno preferito ritirarsi dalla competizione elettorale perché considerata iniqua. Altri, come Karim Tabbou, sono stati privati del diritto di partecipare ai dibattiti pubblici e di pubblicare articoli di carattere politico. Il suo partito, l’Unione socialdemocratica, è stato messo al bando. 


“A cinque anni dall’Hirak, nel paese si è assistito all’erosione dei diritti umani e molti personaggi simbolo delle proteste sono finiti sotto la costante minaccia giudiziaria, entrando e uscendo di galera”, spiega al Foglio Nadège Lahmar, ricercatrice di Amnesty International sull’Algeria. L’ong ha pubblicato pochi giorni fa un report che denuncia la repressione politica e dei diritti civili. Una riforma del codice penale di tre anni fa, favorita dall’urgenza di emanare misure stringenti in tempo di Covid, ha ampliato la platea di chi rischia l’incriminazione per terrorismo. Fra questi c’è anche chi fa generici riferimenti all’Hirak e ai suoi slogan. Una misura draconiana che ha colpito anche gli intellettuali, come il poeta Mohamed Tadjadit, finito in carcere e in attesa di processo dal gennaio scorso. “Gli unici spazi in cui gli algerini riescono ancora a tentare di esprimersi sfuggendo alla censura e alla repressione sono i social network”, dice Lahmar


“Non serve che mi diciate di cosa avete bisogno, lo so già”, ripete Tebboune nei suoi comizi elettorali. Il suo refrain, “per un’Algeria trionfante”, ammicca al nazionalismo e al riscatto post coloniale di una nazione che negli equilibri internazionali sembra essere presa da modello dagli altri vicini, Tunisia in testa. Partner di tutti e di nessuno, Algeri vende il gas che riscalda le case degli europei che si sono liberati dalla dipendenza russa, ma nel frattempo stringe la mano a Vladimir Putin e due anni fa ha chiesto di entrare nei Brics. 


La liquidità del paese dipende per il 95 per cento dalle esportazioni di gas e petrolio, che equivalgono al 60 per cento del pil. L’Algeria esporta meno di mezzo milione di barili di greggio al giorno, ma il grosso delle sue risorse viene dal gas naturale, gran parte trasportato dal TransMed, il gasdotto che attraverso la Tunisia arriva fino in Sicilia. Per questo, l’Italia del “Piano Mattei” è spettatrice interessata del voto di oggi, perché il 40 per cento del nostro gas arriva proprio da Hassi R’mel, il più grande giacimento dell’Africa, e dopo il passaggio in Tunisia viaggia sotto il Canale di Sicilia in un tratto che la società di stato algerina Sonatrach gestisce in joint venture con Eni. “Dopo il voto ci si attende dei cambiamenti ai vertici del ministero dell’Energia e di Sonatrach, visto che un cambio di leadership governativa si traduce sempre in nuove nomine nei ruoli chiave”, dice al Foglio Geoff D. Porter, presidente del North Africa Risk Consulting ed esperto di energia. A preoccupare è invece l’altro partner del TransMed, cioè la Tunisia: “Lì la situazione politica ed economica è molto più incerta. Le elezioni a Tunisi sono in programma a ottobre e il malcontento crescente nei confronti del presidente Kais Saied potrebbe metterne a rischio la leadership”, spiega Porter. Una Tunisia instabile rischia di incrinare la tenuta politica e sociale dell’Algeria e gli approvvigionamenti del gas diretto in Italia. 


Per Dalia Ghanem, del Middle East Council on Global Affairs di Doha, la vittoria probabile di Tebboune non muterà gli equilibri attuali. “Il ruolo dell’Algeria come partner energetico affidabile assicurerà la consueta relazione con l’Unione europea sul modello del ‘business as usual’. A ogni modo le dinamiche con i singoli stati membri sono più complesse”, dice Ghanem. “Ad esempio assistiamo a una divergenza con paesi come la Spagna e ora la Francia, il cui posizionamento sulla questione del Sahara occidentale resta un punto non negoziabile per Algeri”. Il mese scorso, Tebboune ha richiamato l’ambasciatore da Parigi dopo che il presidente francese Emmanuel Macron ha riconosciuto la sovranità del Marocco nel Sahara occidentale, contrapponendosi ad Algeri che invece sostiene gli indipendentisti del Fronte Polisario. L’Italia ha tratto vantaggio da queste frizioni. “Oggi Roma e Algeri hanno relazioni molto strette e collaborano in diversi settori, incluso quello della Difesa”, dice Ghanem. Proprio il dossier militare è tra i più sensibili per Tebboune, che per difendere il non allineamento dell’Algeria dirotta su questa voce buona parte degli introiti che arrivano dall’export di idrocarburi. A oggi, l’Algeria è il paese dell’Africa che spende di più in armi e forze armate, circa 21 miliardi di dollari, contro i 5,5 destinati al welfare. 


Ma come succede anche nel resto della regione, lo spettro russo è visto con preoccupazione da Europa e Stati Uniti. “Le relazioni fra Algeri e Mosca hanno profonde radici storiche. Ma non possiamo parlare di un completo allineamento su tutti i temi”, spiega Ghanem. “Per esempio, Algeri ha un’agenda in Libia e Sahel che è molto diversa da quella della Russia”. La preoccupazione principale è mantenere in sicurezza i giacimenti di gas e scongiurare episodi drammatici come l’attacco di al Qaida a In Aménas nel 2013, che bloccò il pozzo per quasi due anni. Da allora il mantra di Algeri è stato “mai più” ed è per questo che l’instabilità nella vicina Libia, dove il mese scorso il generale Khalifa Haftar ha mobilitato alcune milizie verso il confine a ovest, è vista con terrore. I giacimenti di gas sono sacri, ne va della tenuta del paese e di quella del regime di Tebboune. 
 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.