le presidenziali americane
Lo sposo ebreo: Doug Emhoff, marito di Kamala Harris, sulla strada per la Casa Bianca
Nella strategia dei democratici c’è la sua campagna contro l’antisemitismo. “C’è un’epidemia di odio, e non solo contro gli ebrei, ed è corrosiva, e ha un forte impatto sulla nostra democrazia”, ha dichiarato Emhoff parlando delle cifre di attacchi antisemiti in aumento sul suolo americano
Da quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza da re Giorgio possiamo contare oltre duecento membri del Congresso, otto giudici della Corte suprema e tre segretari di stato di religione o discendenza ebraica. Mai nessun israelita aveva raggiunto la Casa Bianca fino all’avvocato Doug Emhoff. E non ci è arrivato tramite elezioni, ma sposandosi la vicepresidente. Il primo second gentleman della storia, primo ebreo nel quartetto di Pennsylvania Avenue, in quanto marito di Kamala Harris, rischia a novembre di diventare il first gentleman. Mai nessun ebreo prima di Emhoff è arrivato così vicino a trasferirsi nella Executive Residence, tra la West e la East Wing. Durante la convention democratica di agosto si sono visti dei cartelli con scritto: “Doug for First Mensch”. Il mensch, in yiddish, è una persona dignitosa, con una buona integrità morale, che conosce la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Nonostante da secoli le teorie complottiste rappresentino gli ebrei come coloro che controllano il mondo, non c’è mai stato un presidente americano che apparteneva alla tribù di Davide. Il più vicino ad arrivarci è stato nel ‘64 Barry Goldwater, senatore repubblicano di madre episcopale sconfitto da Lyndon Johnson – splendidi gli adesivi della sua campagna con le formule chimiche del suo cognome Au H2O, oro e acqua. Poi altri ci hanno provato, fermandosi alle primarie, come Joe Lieberman, osservante, scelto anche come vice potenziale di Al Gore contro George W. Bush. Negli anni recenti l’ebreo più vicino a Pennsylvania Avenue è stato Bernie Sanders, il senatore del Vermont, che odia i miliardari e che è diventato più volte un meme, come quando stava infreddolito con le muffole di lana o quando un uccellino gli si è appoggiato sul leggio mentre parlava alla folla. Sanders, votato dai millennial che leggono Mark Fisher e dagli orfani di Zuccotti Park, era diventato il rappresentante di un certo tipo ebraico, la macchietta dell’anziano lamentoso che ama la zuppa. Non a caso era stato interpretato al programma tv Saturday Night Live – dove nell’ultimo decennio la satira ha preso sempre più spazio – da Larry David, l’idiosincratico creatore di “Seinfeld”. Come scriveva il giornalista – e rabbino gay – Jay Michealson, Sanders rappresentava il “socialista democratico ebreo, praticamente laico, praticamente ateo, parte di quella sinistra del vecchio Ventesimo secolo di cui facevano parte figure come Hannah Arendt”. Doug invece, chiamato Dougie da sua moglie Kamala, è un ebreo del Ventunesimo secolo, senza facili stereotipi esternalizzati e ci si chiede come potranno fare negli studi della Nbc con lui, abituati a dover prendere in giro miliardari arancioni kitsch, modelle est-europee con lo sguardo glaciale, anziani con i Ray-Ban che inciampano, ridanciane sceriffe californiane. Chiunque potrebbe interpretarlo al Saturday Night Live, non c’è bisogno di casting con i caratteristi, basta un bel sorrisone e gli occhi dolci. Scherzandoci in un’intervista video, Doug ha detto che potrebbe essere interpretato da un qualsiasi sex symbol hollywoodiano, “da Hugh Jackman, Ryan Reynolds, Chris Hemsworth, insomma, qualcuno che è esattamente come me”, e poi è esploso in una risata, molto più calda di quella di sua moglie. Sì, è nato a Brooklyn, sì, è cresciuto in New jersey, sì, è diventato avvocato – stereotipica professione ebraico-americana – sì, è diventato poi avvocato nello show business a Los Angeles – ancora più stereotipica – ma Emhoff non ha addosso nulla di caricaturale. Nonostante questo, il suo ebraismo è diventato centrale non solo nella sua vita, ma anche nel suo ruolo politico. Figlio di Mike e Barbara, è nipote di rifugiati polacchi arrivati a Ellis Island, sfuggiti all’Olocausto. Crescendo, ha frequentato una sinagoga abbastanza liberal, al Temple Shalom in New Jersey dove nel 1977 ha fatto il Bar Mitzvah.
L’ebreo più vicino ad arrivare alla presidenza è stato nel ’64 Barry Goldwater, senatore repubblicano di madre episcopale sconfitto da Johnson
A gennaio 2023 per la Giornata della memoria ha visitato Auschwitz, deponendo una corona di fiori davanti al muro della morte, e poi un sasso bianco sul crematorio di Birkenau. Ha camminato, senza nascondere il dolore, sotto il cancello con la scritta Arbeit Macht Frei. L’anno scorso il presidente Joe Biden gli ha dato l’incarico di lanciare una Strategia nazionale per combattere l’antisemitismo, un tema che è tristemente ritornato anche prima dell’attacco di Hamas e delle tendopoli con le angurie nei campus della Ivy League. A maggio del 2023 Emhoff è andato in Inghilterra a incontrare la comunità ebraica britannica. E’ andato in visita ufficiale a Pittsburgh per parlare con i sopravvissuti alla sparatoria del 2018 alla sinagoga Tree of Life, sopravvissuti con cui si sente spesso. Dopo il 7 ottobre ha incontrato Natalie Sanandaji, cittadina americana scampata alla barbarie di Hamas. E’ andato a parlare con degli studenti ebrei, dei bambini, dicendogli: “Vi proteggerò”. “Io voglio cambiare questi numeri”, ha dichiarato Emhoff parlando delle cifre di attacchi antisemiti in aumento sul suolo americano, quando alle manifestazioni di Charlottesville la gente urlava in coro: “Gli ebrei non ci rimpiazzeranno!”. “C’è un’epidemia di odio, e non solo contro gli ebrei, ed è corrosiva, e ha un forte impatto sulla nostra democrazia, sul nostro stile di vita e sulla nostra sicurezza. Io farò tutto quello che posso, e lo stesso farà questa amministrazione”, aveva detto quando il candidato dem era ancora Joe Biden.
Doug, “Dougie”, ha conosciuto Kamala dopo il suo divorzio. Lei ha raccontato che sono usciti una sera nel 2013 e già lì hanno parlato di un futuro comune. Lui la mattina dopo le ha scritto un’email dicendo “queste sono le date in cui sono disponibile nei prossimi sei mesi”. Era stata un’amica comune, a Los Angeles, a organizzare l’appuntamento al buio, Chrisette Hudlin. “Ho incontrato un tipo troppo carino”, avrebbe detto l’amica a Harris, “è perfetto per te, si chiama Doug Emhoff, ma promettimi che non lo cercherai su Google. Non pensarci troppo, niente paranoie. Incontralo. Gli ho già dato il tuo numero”. Anni dopo Kamala ha raccontato in un’intervista di averlo goooglato, ma tutto è andato comunque benissimo. Si sono sposati in una piccola cerimonia con la sorella di Kamala, Maya, a fare da celebrante. Alla Convention democratica del 22 agosto, quando Harris è stata ufficialmente nominata candidata di partito alla presidenza, la VP ha detto che quella sera si festeggiava anche qualcos’altro, “il nostro decimo anniversario di matrimonio. Happy anniversary, Dougie. Ti amo tantissimo”. Dalla platea Doug, emozionato e con gli occhi a cuore, le ha mandato un bacio con la mano.
Di Sanders, Larry David faceva l’imitazione. Emhoff non ha addosso nulla di caricaturale. Ma il suo ebraismo è diventato centrale
Se lei era stata la procuratrice di ferro della California che cercava di rompere il tetto di cristallo a suon di arresti, senza tempo per mettere su famiglia, lui era stato già sposato. Una storia di vent’anni con la produttrice cinematografica Kerstin Mackin da cui ha avuto due figli, Cole e Ella. Ella è la figlia “zillennial” modella-artista del punto croce che vende i suoi lavori a maglia su internet e nelle gallerie di Brooklyn e che ruba la scena quando la famiglia va in gruppo in pubblico con i suoi vestiti appariscenti. Cole invece è molto meno personaggio. Papà Doug ha ammesso di aver avuto una storia, un tradimento avvenuto con una maestra delle elementari che avrebbe portato alla fine della storia con Kerstin. Dopo il divorzio Doug ha comprato per quasi tre milioni una casetta a Brentwood, quartiere chic di LA dove è morta Marilyn Monroe e dove vivono varie star, e che è diventata poi la casa della coppia vicepresidenziale, anche se Kamala nel 2023 ha passato a Los Angeles solo 59 giorni. Nel quartiere sia Hillary Clinton che Biden hanno preso oltre il 75 per cento dei voti. Rispetto alle villone con i loro immensi giardini la casa degli Emhoff-Harris sembra un bungalow. Intervistati dal Wall Street Journal alcuni vicini hanno chiamato la zona “i bassifondi di Brentwood”. Un altro losangelino, di fronte al mercato immobiliare pazzo della città ha detto di Harris: “La voto se mi vende la casa”.
Quando il candidato vice di Trump, J. D. Vance, ha parlato di “gattare senza figli” riferendosi a Harris, oltre a scatenare la solita polemica femminista con meme e canzoni di Taylor Swift, l’ex moglie di Doug ha difeso Kamala dicendo: siamo una grande famiglia. Emma e Cole hanno aggiunto: “Kamala è come una madre per noi”. Tutti uniti, rappresentanti della nuova famiglia allargata progressista da sit-com, tipo “Modern Family” ma con gli outfit di “The West Wing”. “Non mi chiamano matrigna”, ha detto Harris, “mi chiamano Momala”. Ribadendo che “a volte scherziamo sul fatto che la nostra famiglia moderna sia un pochino troppo funzionale”. Kerstin e Kamala sono diventate amiche, e fin dall’inizio la prima moglie ha approvato la relazione. Le due andavano anche alla stessa palestra, SoulCycle, a LA, e facevano delle lezioni di spinning insieme ascoltando Alanis Morissette. Nel suo ufficio Doug tiene un’action figure, un pupazzetto, con le fattezze della seconda moglie.
M, la rivista femminile di Le Monde, ha di recente dedicato la copertina a Doug, “L’incroyable Monsieur Kamala Harris” definendolo “il marito più che perfetto”, che sta volentieri in ombra rispetto alla moglie, “non si vergogna di manifestare le proprie emozioni e rivendica il suo femminismo”, e diventa così “una personalità simbolo della mascolinità moderna, agli antipodi di Donald Trump”. Maritino ideale, padre amato ed ebreo laico, un identikit pronto per accompagnare la candidata carrierista. Lei già ci aveva provato alle primarie del 2020 ritirandosi quasi subito, asfaltata nei dibattiti, e che poi non ha certo brillato nei suoi anni da VP, diventando “cool” e “brat” (o provandoci) solo dopo che i dem hanno deciso di mandarla avanti contro Trump. Lui, anche nei momenti bui, è sempre stato dalla sua parte, in adorazione. Ma oltre l’amore c’è l’ebraismo, che fino ad allora lui viveva giusto culturalmente – i figli non li ha cresciuti nella Torah, e ha smesso di andare al tempio – e che poi è diventato il suo strumento per fare politica attiva. Nel 2021 Emhoff aveva sì attaccato le mezuzah (pergamene con passi biblici racchiuse in una scatoletta) alla porta della residenza vicepresidenziale, a Washington, ma non era la sua intenzione diventare il rappresentante dell’ebraismo nei corridoi di Capitol Hill, diventare un Batman contro l’antisemitismo. Ma dopo essersi licenziato e aver seguito la moglie a est voleva rendersi utile. “Sono diventato avvocato perché odiavo i bulli, mi piace difendere gli altri”, ha detto. E visto l’odio antiebraico sempre più diffuso in America, Emhoff, chiamato da Biden, ha trovato quello che inizialmente era quasi un hobby da consulente-filantropo ed è poi diventata una missione seria. Nel 2022 diceva, dopo aver accettato il suo ruolo nella task force contro le discriminazioni e l’estremismo ha detto: “Non mi rendevo conto che sarebbe stato così importante, e non solo per la comunità ebraica e per quelle religiose, ma per me stesso. Mi ha portato molto più vicino alla mia fede. Mi ha aperto gli occhi su un sacco di cose”. Poi, siccome deve essere accettato da tutto lo spettro politico della coalizione democratica, ogni tanto ha anche parlato di quanto anche l’islamofobia sia un problema. Ma è stato il primo a portare un po’ di ebraismo alla Casa Bianca. Ha organizzato un Seder ufficiale, la cena pasquale, al Naval Observatory e ha iniziato snocciolare aneddoti legati alla sua crescita, come quando preparava la carne con la madre per Rosh Hashanah, il capodanno.
Deve rassicurare che sua moglie non starà mai dalla parte dei terroristi, anche se viene considerata una scelta migliore di Biden dalla sinistra pro Pal
“E’ come una Rockstar dell’ebraismo”, ha detto la capa del Jewish Democratic Council. “Non è solo una questione di simbolismo, dell’essere il primo partner ebreo, ma perché rappresenta un messaggio potente: vivi con orgoglio e apertamente l’essere ebreo”. Dopo il 7 ottobre la cosa è diventata ancora più grossa e lui è diventato una voce dell’ebraismo americano nel mondo, un ambasciatore con la kippah. Dopo l’attacco ha detto: la comunità resterà unita, “perché nella comunità ebraica non c’è divisione su barbarie e terrorismo, su un attacco che ha ucciso bambini e ragazzi a un festival musicale, nonne, sopravvissuti all’Olocausto”. A inizio settembre alla notizia della morte di sei ostaggi nelle mani palestinesi, tra cui il cittadino americano Hersh Goldberg-Polin, Doug si è detto “distrutto”, aggiungendo che la perdita per lui e per Kamala è “personale, siamo entrambi in lutto”. I genitori di Hersh avevano parlato alla convention di Chicago per parlare degli ostaggi. “A meno che non raccontiamo una storia più e più volte, non abbiamo speranza che qualcosa non succeda mai più”, ha detto Emhoff. “Dobbiamo continuare a raccontare ogni giorno la storia degli ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas”. Dopo ottobre, dopo le marce filo palestinesi, dopo che le deputate della Squad hanno protestato nei campus, il voto ebraico è diventato un problema per i democratici e per Kamala Harris. E qui il ruolo di Emhoff diventa elettorale. Il suo nuovo obiettivo è rassicurare la comunità che sua moglie non starà mai dalla parte dei terroristi e degli antisemiti, nonostante venga considerata dalla sinistra filo palestinese una migliore scelta del Biden iper sionista amico di Netanyahu. “Amo essere ebreo!”, ha detto ad agosto Emhoff. “Lo amo. Amo tutto dell’essere ebreo. E voglio urlarlo a tutti”. L’ha detto a un evento di raccolta fondi a Chicago. E a un altro fundraiser ha aggiunto: “L’antisemitismo è un veleno. Da primo gentleman e primo ebreo alla Casa Bianca vi prometto che continuerò questa lotta contro l’antisemitismo”. Emhoff ha sempre rifiutato interviste sul tema Gaza, e ogni volta che esce fuori dice: è una questione di policy, parlatene con mia moglie.