Regole inglesi
Abolire i Lord non fa avanzare la democrazia ma ci leva un po' di deliziosa eccentricità
La fine della Camera dei Lord. Con la proposta laburista di abolire i pari per nascita, la Camera Alta perde un pezzo di storia. Un passo simbolico, ma la riforma non risolve le contraddizioni della monarchia britannica
Le loro signorie avranno più tempo da dedicare alla caccia alla volpe, a meno che i socialisti non decidano di abolire anche quella. Il governo di Keir Starmer ha infatti presentato alla Camera dei Comuni una legge su quella dei Lord che abolisce i pochi pari ereditari rimasti: l’House of Lord Act del 1999 ne aveva provvisoriamente fissato il numero a 92, in attesa di una riforma della riforma che da allora è stata molto discussa e mai fatta. Per inciso, la cifra non tonda sembra strana ma non lo è: sarebbero in effetti 90, ma vanno aggiunti due alti ufficiali della Corona, il conte maresciallo, il diciottesimo duca di Norfolk, e il gran ciambellano, il settimo barone Carrington. Dovrebbero restare soltanto i lord “a vita”, attualmente più di settecento, personalità che hanno illustrato la patria in vari modi ma la cui paria si estingue con loro, compresi i 26 “lord spirituali”, arcivescovi e vescovi della Chiesa d’Inghilterra: quella scozzese, presbiteriana, non li prevede. Il provvedimento è apparentemente ineccepibile. In una democrazia, pare strano che dei signori siedano in Parlamento per diritto di nascita. Charles Wellesley, nono duca di Wellington (ma anche nono principe di Waterloo nei Paesi Bassi, quarto duca della Vittoria, marchese di Torres Vedras e conte di Vimeiro in Portogallo, decimo duca di Ciudad Rodrigo in Spagna), per inciso proprietario della più bella casa di Londra, Apsley House, con un enorme Napoleone marmoreo di Canova nella tromba delle scale, legifera soltanto perché il suo bis-bis-bisnonno vinse la battaglia di Waterloo. All’imperante dittatura woke inoltre non va giù che il 71 per cento dei pari del regno sia maschio e solo il 6 appartenga o discenda da una minoranza etnica.
E tuttavia questo ennesimo attacco laburista al “peerage” non è necessariamente una buona notizia, e non solo per le volpi. Intanto, va precisato che la Camera dei Lord è certamente più chic dei Comuni, ma ha molto meno potere. Il bicameralismo perfetto non esiste più dal Parliament Act del 1911, quando le loro signorie ci rinunciarono dopo un’aspra battaglia conclusa dalla minaccia di Giorgio V di nominare una valanga di pari per far passare la riforma già votata ai Comuni dalla maggioranza liberale (en passant, questo dimostra che, nella macchina costituzionale britannica, la corona non è mai stata un freno. Neanche l’acceleratore, certo: diciamo la frizione, per cambiare marcia senza fratture). Dal 1949, i pari possono al massimo rimandare l’approvazione definitiva di una legge per non più di due sessioni parlamentari o di un anno solare, ed è esclusa quella di bilancio: peraltro, da allora l’hanno fatto appena quattro volte. L’ultimo lord a diventare premier è stato Alec Douglas-Home, quattordicesimo conte Home, nel 1963, e dovette subito dimettersi dalla Camera alta e farsi eleggere in quella bassa, dato che una delle arcane tradizioni parlamentari vuole che un pari non possa prendere la parola davanti ai Comuni. Quanto alle attribuzioni giudiziarie, che facevano della House of Lords una specie di Cassazione, del resto ragionevolmente in un paese di diritto consuetudinario, nel 2009 sono state trasferite a una Corte suprema.
Insomma, già adesso la Camera dei Lord appare un elegante relitto del passato, e i pari ereditari una specie di anacronismo nell’anacronismo, un antiquariato al quadrato. Abolirli non fa quindi fare passi avanti alla democrazia, tanto più in una monarchia dove anche il capo dello stato il posto lo eredita, non lo vince a qualche riffa elettorale. I pari ereditari sono una delle tante deliziose eccentricità di un paese che amiamo appunto per questo. Eliminarli sarebbe come togliere la parrucca ai giudici o i colbacchi d’orso alle guardie, o smettere di guidare a sinistra e dare la caccia alla volpe (appunto). Siamo sbigottiti come quel gentiluomo francese che, nell’infausta notte del 4 agosto 1789, chiese allibito: “Ma se non ci saranno più gentiluomini, al lever chi porgerà al Re la camicia?”.