I droni e le incursioni

Difendere l'occidente fino a casa di Putin

Paola Peduzzi

Kyiv ha fatto uno degli attacchi più grandi con i droni nel territorio russo. L'equivoco (meditato da tempo) dei putiniani sull'escalation e la visita di Blinken e Lammy che potrebbe portare a una novità

Decine di droni ucraini hanno colpito ieri mattina  obiettivi nel territorio russo, nelle regioni di Kursk, di Bryansk, di Mosca. Il Cremlino ha detto di averne intercettati 144, nella periferia della capitale russa è stato colpito un palazzo residenziale, una donna è morta, sette persone sono finite in ospedale, alcune zone sono state evacuate, una delle strade principali che portano a Mosca è rimasta chiusa per alcune ore, così come  tre aeroporti della città. Secondo gli esperti si tratta di uno dei più grandi attacchi delle forze ucraine in Russia: a metà agosto, pochi giorni dopo l’incursione via terra nella regione di Kursk, 150 droni ucraini avevano colpito raffinerie russe e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva detto che quegli attacchi facevano parte della strategia di mettere fine al conflitto facendo sentire ai russi la guerra come la sentono gli ucraini. “Stiamo lavorando per far sì che il maggior numero di siti militari, centri logistici ed elementi critici dell’economia di guerra russa finiscano nel raggio d’azione delle nostre armi”, ha ribadito all’inizio di settembre Zelensky – ieri mattina alcuni droni hanno volato per 500 chilometri.

Non c’è alcun paragone possibile tra l’invasione, i bombardamenti, l’occupazione, le deportazioni e le torture che i russi infliggono agli ucraini da due anni e mezzo e le operazioni degli ucraini in Russia oggi. Ma Mosca ripete comunque una parola che viene ripresa poi da tutti i putiniani occidentali: escalation. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha detto che gli attacchi degli ucraini dimostrano che la Russia deve continuare a combattere l’Ucraina, alimentando l’equivoco in cui si crogiolano quelli che ripetono che a volere la guerra è l’Ucraina (con la Nato) e non la Russia. E’ un equivoco che è stato costruito dalla propaganda russa fin da quando Mosca ammassava truppe al confine con l’Ucraina prima dell’invasione del 24 febbraio 2022 e che poi si è consolidato negando i massacri, tramutando un’aggressione immotivata e violentissima in una difesa dalle provocazioni dell’Ucraina e degli alleati occidentali.

E’ facile immaginare che ora che gli ucraini si sono attrezzati per colpire alcuni obiettivi in Russia – per prendersi meno bombardamenti e anche per far sentire ai russi che la guerra ha conseguenze pure su di loro, anche nella Mosca che si sente estranea a questa guerra e cerca di vivere normalmente – si arriva all’equiparazione tra Putin e Zelensky (l’europarlamentare del Pd, Marco Tarquinio, l’ha fatta in modo esplicito in un’intervista). E’ l’ultimo salto logico e retorico di una campagna per demolire il sostegno all’Ucraina che confonde l’attacco e la difesa, l’aggressore e l’aggredito, i bombardamenti indiscriminati e le operazioni mirate a indebolire, dove possibile, un esercito che ha più mezzi e più risorse.

Anche gli occidentali non putiniani, che per fortuna sono ancora la maggioranza, ieri hanno usato il termine “escalation”: lo hanno fatto per denunciare l’invio ai russi di missili balistici da parte dell’Iran – una consegna così preoccupante che potrebbe portare a un cambiamento delle regole imposte agli ucraini. Francia e Germania hanno detto che si tratta di una minaccia per la sicurezza europea – minaccia che è già da tempo presente nella retorica di Vladimir Putin e ancor più negli sconfinamenti continui nei cieli dell’Unione europea dei jet  russi. Il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha incontrato ieri il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, e oltre ad annunciare nuove sanzioni, ha detto che andranno insieme a Kyiv alla fine della settimana: è la prima volta che c’è un viaggio congiunto anglo-americano e qualcuno dice che sarebbe l’occasione perfetta per togliere le restrizioni all’utilizzo delle armi della Nato in territorio russo – la dialettica tra Londra e Washington già in passato ha portato al superamento di quelli che sembravano tabù, come i carri armati o gli F-16. Secondo alcune fonti, il presidente della commissione Affari esteri del Congresso americano, Michael McCaul, ha avuto qualche rassicurazione in questo senso dallo stesso diparimento di stato.

A Kyiv non si aspetta altro, anche se talvolta l’insofferenza prende  il posto della speranza: da settimane Zelensky e il suo governo (quello precedente al rimpasto e quello nuovo) ripetono che la possibilità di colpire in territorio russo è esistenziale per l’Ucraina. Ma intanto la guerra studiata da Kyiv ha cambiato faccia, a partire dall’incursione a Kursk ma non solo. Basta seguire gli annunci e i ringraziamenti del neoministro degli Esteri, Andrii Sybiha, per ritrovarne i dettagli: investite nella produzione ucraina, dice, mandateci attrezzature smontate o dismesse, ci pensiamo noi a metterle in funzione, e ancora “ogni dollaro o euro messo nelle armi ucraine per i combattenti ucraini è il miglior investimento per la sicurezza e la stabilità euro-atlantica”. Per gli ucraini la propria sicurezza e quella europea sono la stessa cosa, in occidente no.
 

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi