Il dibattito

Kamala volta pagina

Giulia Pompili

Nel primo dibattito fra Trump e Harris, l’ex presidente si ritrova a doversi difendere e va in confusione: non ammette di aver perso nel 2020, dice che Nancy Pelosi ha fatto il 6 gennaio e che i democratici hanno armato l’attentatore che a luglio gli aveva sparato a un comizio. La vicepresidente calma e precisa lo incalza. Il racconto del confronto tv da un bar-libreria di Washington, e poi l’endorsement di Taylor Swift per Kamala

Washington, dalla nostra inviata. “Per me avremo la prima presidente donna”, dice al Foglio una signora al termine del dibattito fra i due candidati, Donald Trump e Kamala Harris, trasmesso in diretta al Busboys and Poets di Washington, ristorante bar libreria centro culturale e luogo simbolo della mobilitazione politica per i diritti, fondato nel 2005 dall’americano di origini irachene Andy Shallal. I sondaggi fino a ieri non erano ottimisti come l’atmosfera dentro al locale poco dopo le dichiarazioni finali dei due candidati: la battaglia fino all’ultimo voto fra Trump e Harris sarà negli swing state, e in più nella capitale federale sono pochi gli analisti politici a credere davvero ai numeri del testa a testa, perché – sostengono – in pochi ammettono di votare repubblicano. Però ieri, nel frattempo, sono successe due cose: la prima è che il dibattito, al di là delle analisi sull’efficacia di alcune dichiarazioni di Harris, è stato vinto senza dubbio alcuno dalla candidata democratica. E la seconda è che alla fine di una delle serate più importanti di questa inedita campagna elettorale, la regina della cultura pop americana, Taylor Swift, ha fatto il suo attesissimo endorsement al ticket Harris-Walz, firmandosi peraltro come “childless cat lady”, in riferimento alle dichiarazioni fatte dal candidato vicepresidente di Trump, J. D. Vance, sulle donne senza figli e amanti dei gatti.

 

 

Ieri sera al Busboys and Poets di Washington, quartier generale della cultura afro e Lgbtq+, poco prima dell’inizio del dibattito la gente aspettava in fila per entrare e l’aria era piuttosto tesa: l’incertezza, in un’inedita campagna elettorale, era che Trump potesse prendere il sopravvento su Harris, una candidata che perfino i democratici e chi segue da vicino la politica americana conoscono ancora poco. Il debutto sulla Abc, di fronte ai due moderatori David Muir e Linsey Davis, ha cancellato in pochi minuti quelle incertezze: “Harris è una pianificatrice, una che studia”, dice al Foglio, sorridendo, una ragazza con gli occhi incollati al maxischermo. “Penso che se non fosse andata così, con il ritiro di Biden e lei che scende nell’arena all’improvviso, forse non sarebbe stata così tanto efficace”. Come in uno sport da combattimento, Harris ha provocato e attaccato Trump su tutti i fronti, e l’ex presidente non è riuscito ad argomentare nessuna delle sue accuse, tantomeno gli aspetti più programmatici delle sue promesse elettorali. Al di là delle accuse reciproche sulle ricette economiche, sull’immigrazione, sull’Afghanistan, è stata Harris a mostrare più contenuti: “Trump continua a non riuscire a completare una frase”, commenta chi lo osserva alla tv del bar-libreria a un chilometro e mezzo dalla Casa Bianca. Ma di questa performance si parlerà soprattutto per le fake news reiterate durante un dibattito presidenziale: quella degli immigrati che mangiano cani e gatti, e del sostegno da parte dei democratici di aborti “dopo la nascita” e di “giustiziare” i bambini. Le accuse, totalmente infondate, sono state contestate in diretta dai moderatori Muir e Davis, che così nella propaganda trumpiana sono diventati nel giro di pochissimo parte della campagna di Harris, illegittimamente considerati super partes. L’ex presidente americano ha poi ripetuto di aver battuto Biden alle elezioni del 2020, dicendo che “ci sono così tante prove. Tutto quello che dovete fare è guardarle”. Ha poi negato la sua responsabilità nella rivolta contro il Campidoglio del 6 gennaio 2021, dando in realtà la colpa a Nancy Pelosi e in generale ai democratici, che avrebbero perfino armato l’attentatore che a luglio gli ha sparato a un comizio.

 

 

Nel frattempo, al Busboys and Poets, di tanto in tanto le risposte di Trump venivano interrotte da fragorose risate degli spettatori, altre volte quelle di Harris da ovazioni – mai il contrario. E del resto sin dall’inizio è stata lei a impostare tempi e modalità: è stata lei ad andare verso Trump a stringergli la mano per dare inizio al dibattito, e non il contrario. E’ sceso il silenzio nel locale quando, un’ora dopo l’inizio dello show, i giornalisti di Abc hanno chiesto ai candidati della guerra fra Israele e Hamas. Harris, tenendo fede alla linea politica di Biden, ha detto che Israele ha diritto di difendersi e ha invocato un piano di pace e una soluzione a due stati. A quel punto Trump, che avrebbe potuto affondare sulla questione, ha soltanto accusato Harris di “odiare Israele”.

 

La vicepresidente in carica ha spinto Trump sulla difensiva, titolavano ieri sera quasi tutti i principali media americani tranne Fox News, che dava conto della richiesta da parte del team della campagna di Harris di un secondo appuntamento, come fosse una forma di debolezza. Un’ora dopo la fine della diretta, l’ex presidente si è presentato nella spin room, dove si incontrano i giornalisti dopo la fine del dibattito per cercare di addrizzare il tiro – chi crede di aver fatto una buona performance, nella spin room non ci va. “Alla domanda sul perché sia venuto nella spin room se pensa di aver fatto così bene”, ha scritto Michael Gold del New York Times, “ha risposto semplicemente che gli è stato chiesto”. “Harris ci fa tornare ottimisti”, dice al Foglio un uomo fuori dal Busboys and Poets. E’ il “voltare pagina”, quello che ha ripetuto di continuo Harris nelle scorse ore, il ritorno di una politica positiva, ottimista, lontana dalla cupezza tirannica rappresentata dall’uomo che parla di bambini giustiziati e di cani e gatti mangiati. Se questo sarà sufficiente a convincere gli indecisi americani è ancora presto per dirlo.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.