Fujimori era "il cinese", poi divenne Chinochet. Dalla presidenza del Perù al carcere

Maurizio Stefanini

È morto a Lima “El Chino”, l'ex presidente peruviano con origini giapponesi. La popolarità iniziale come icona politica e l'inizio di una nuova fase di dittature: venne accusato di gravi violazioni dei diritti umani tra cui una campagna di 300.000 sterilizzazioni forzate, scontò 15 anni di galera 

Nato a Lima il 28 luglio 1938, così nella capitale peruviana a 86 anni è morto Alberto Kenya Fujimori Inomoto. Docente di agronomia, fisica e matematica; presidente del Perù per 10 anni, dal 28 luglio 1990 al 22 novembre del 2000; poi incarcerato per un totale di 15 anni, dal 7 novembre 2005  al 24 dicembre 2017, e di nuovo dall’8 febbraio 2020 al 6 dicembre 2023. In carcere sono finiti tutti i presidenti eletti in Perù dal 1985, salvo il suo predecessore Alan García. che lo ha evitato suicidandosi mentre la polizia lo stava per arrestare. Fujimori aveva manifestato l’intenzione di ricandidarsi alle prossime presidenziali, ma lo ha ucciso un cancro alla lingua.

 

“El Chino”, lo chiamavano così anche i suoi seguaci: “il cinese”, termine che in Perù viene dato genericamente a tutti gli asiatici. In effetti i genitori erano immigrati giapponesi: originari del villaggio di Kawachi-Machi, nella prefettura di Kumamoto. La famiglia era emigrata in Perù nel 1934, e Alberto nacque cittadino peruviano per ius soli, ma i genitori chiesero all'ambasciata del paese nipponico che il loro figlio potesse mantenere la cittadinanza giapponese. I genitori erano  di fede buddhista, ma battezzarono i figli alla religione cattolica romana perché potessero frequentare un collegio locale. Nella sua prima campagna elettorale saltò fuori la voce che in realtà fosse nato in Giappone, che i suoi documenti di nascita fossero falsi, e che dunque la sua candidatura non fosse valida. Ma non fu mai dimostrato.

 

Durante la campagna elettorale nacquero anche delle barzellette sul suo eventuale governo, con nomi che in spagnolo evocavano le barzellette italiane tipo “campione di motociclismo giapponese: Misefusa Lamoto”. L’ipotetico ministro delle Finanze, ad esempio, sarebbe stato il signor Itacosa Itajodida: “questa cosa è fottuta”. Della Sanità, Tengo Sida: “Ho l’aids”. E la segretaria particolare, Kiputa Kesoy: “Che puttana che sono”. Ma dopo la sua vittoria invece il soprannome divenne una icona popolare, ed “El ritmo del Chino” fu intitolato il suo inno elettorale. “Regolò il disastro dell’inflazione/costruì scuole e strade/visitando villaggi molto dimenticati”, “combatté duramente il terrorismo/combatté anche la burocrazia/conseguendo una pace duratura”, proclamava un altro suo inno elettorale intitolato “Fujimori sí cumple”.   “Fujimori si mantiene”.

 

 

Tra i suoi avversari, però, nacque invece il termine di Chinochet, dopo il golpe bianco con cui il 5 aprile 1992 sciolse un Congresso in cui non aveva maggioranza e anche gli altri poteri dello stato, per convocare un nuovo Congresso Costituente che fece una nuova costituzione. La comparazione con Pinochet è anche per gravi violazioni dei diritti umani. In particolare nella lotta contro il terrorismo di Sendero Luminoso e del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru, peraltro colpevoli di abusi feroci e anche nemici tra di loro.  Effettivamente il capo di Sendero Luminoso Abimael Guzmán fu catturato il 12 settembre 1992, mentre il capo dell’Mrta Néstor Cerpa Cartolini fu ucciso il 22 aprile del 1997 in quella Operazione Chavín de Huántar in cui le forze speciali recuperarono il controllo dell’ambasciata giapponese a Lima, sotto sequestro di un commando terrorista dal 17 dicembre 1996. Però la lotta fu condotta anche con l’utilizzo di gruppi paramilitari responsabili di eventi cruenti come   il massacro di Barrios Altos, il massacro di Santa e la strage di La Cantuta.

 

Lotta al terrorismo a parte, il governo Fujimori lanciò anche una campagna di controllo delle nascite che portò a almeno 300.000 sterilizzazioni forzate. Morto l’11 settembre proprio nell’anniversario della Costituzione di Pinochet, poco dopo la restaurazione generale della democrazia in America latina culminata proprio con la fine del regime Pinochet e nell’ambito del più generale movimento che ebbe il suo vertice in Europa orientale e investì anche Africa e Asia, Fujimori iniziò in effetti un nuovo ciclo di dittature 2.0 iniziate non da golpisti ma da politici eletti che fingono di mantenere una parvenza di istituzioni democratiche. Un modello di cui il più recente esempio è quel che sta facendo Maduro in Venezuela e che oggi dilaga, al di là delle varianti supposte di destra o di sinistra.

 

Fujimori, peraltro, era un candidato minore che fu votato dalla sinistra per bloccare Mario Vargas Llosa: futuro Premio Nobel per la Letteratura, che contro il populismo devastatore dell’economia di Alan García si era presentato con un programma liberale: 32,61 per cento contro 20,09 per cento per Vargas Llosa al primo turno; 63,32 contro 37,68 per Fujimori al secondo. Brillante studente laureato in Ingegneria agraria nel 1961 che poi aveva studiato fisica pura a Strasburgo e matematica negli Usa, conseguendo un master in scienze matematiche nel 1969, Fujimori aveva ottenuto una cattedra presso l'Università Nazionale Agraria per poi diventare tra 1984 e 1989 rettore dell'ateneo, e dal 1987 anche presidente dell'Asamblea Nacional de Rectores e conduttore di un programma televisivo chiamato “Concertando” trasmesso dalla Televisione Nazionale del Perù. Pur non essendo insomma del tutto uno sconosciuto, in politica era un po’ un oggetto misterioso. Ma dopo eletto adottò invece lui un programma di destra economica durissimo, con in più appunto la sterzata autoritaria, pur il tutto condito di un po’ di populismo clientelare.      

 

Effettivamente la sua terapia di choc economico fece però ripartire il Perù, il cui 13 per cento di crescita nel 1994 fu record mondiale, mentre l’inflazione nei suoi 10 anni scese dal 7649,6 allo 0,1 per cento. Nel 1995 ci fu anche una breve guerra di confine con l’Ecuador,  conclusa con una piena riappacificazione. Ma dopo la sua rielezione nel 2000 si scatenò una grande protesta popolare, dopo la scoperta di un grave scandalo di corruzione in cui venne coinvolto il suo Rasputin Vladimiro Montesinos. Perfino  sua moglie Susana Higuchi, che lo aveva lasciato nel 1996 per una storia di corna, fu eletta deputata contro di lui per uno scandalo di corruzione. Fu costretto a convocare nuove elezioni, dopo la partecipazione in Brunei a un forum della Apec andò in Giappone, e da lì formalizzò le sue dimissioni.

 

Il 6 novembre 2005 arrivò a Santiago a bordo di un aereo privato partito da Tokyo, con l'obiettivo di ripresentarsi alle elezioni presidenziali del 2006. Ma fu arrestato, estradato, e nel 2009 condannato a 25 anni di reclusione per l'omicidio di 25 persone, sequestro di persona e violazione dei diritti umani, cui poi aggiunsero poi altri sette anni e sei mesi per corruzione e malversazione: venne riconosciuto colpevole di aver concesso fondi pubblici pari a 15 milioni di dollari all'ex capo dei servizi segreti, Vladimiro Montesinos, per la paura che il suo braccio destro progettasse un colpo di stato contro di lui. Indultato nel 2017, era stato poi riportato in carcere, prima dell’ultima liberazione.

 

I figli Keiko e Kenji hanno continuato la carriera politica alla testa dei suoi nostalgici, ma hanno poi rotto tra di loro e ora guidano due partiti diversi. Keiko alla presidenziali è arrivata al ballottaggio sia nel 2011 che nel 2016 e nel 2021, ma è poi stata sempre sconfitta.

 

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