Verso le presidenziali
Harris si presenta bene agli americani. L'analisi della fisicità di un leader
Al dibattito tv la politica si fa facce, mani strette e sguardi altrove. E la candidata democratica sembra fare tutto bene: Donald Trump per novanta minuti non l'ha mai guardata, mentre lei sin da subito lo ha costretto a una stretta di mano effetto-sorpresa
Doveva essere l’anno dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulle elezioni, della raccolta di finanziamenti che fa la differenza e delle strategie social per conquistare il popolo di TikTok. Ma il dibattito tra Donald Trump e Kamala Harris ha confermato che la politica, in America e non solo, nei momenti decisivi è ancora e soprattutto un corpo a corpo. A Filadelfia, la città di Rocky Balboa, non si sono visti colpi da ko e il palco non è stato un ring: per una notte si è fatta campagna elettorale non solo con i guantoni, ma a colpi di body language e mimica facciale.
Era già successo a giugno nel confronto fra Trump e Biden, con il presidente umiliato dalla rigidità del suo ingresso sul palco, dall’immobilità dei suoi sguardi e dalla difficoltà a esprimersi con i muscoli del volto. Kamala Harris è stata l’opposto del suo capo. E se buona parte degli opinionisti la ritiene la vincitrice del dibattito non è solo per le cose che ha detto – il suo programma elettorale è ancora povero di dettagli – quanto per come si è presentata agli americani e allo stesso Trump. È dai primi dibattiti televisivi della storia delle presidenziali, quelli tra John F. Kennedy e Richard Nixon, che gli elettori americani sono abituati a trattenere percezioni e impressioni molto “fisiche” di questi scontri e a tradurle in intenzioni di voto. La rigidità di Nixon gli costò nel 1960 la presidenza, quando fu messa a confronto in tv con l’energia di Kennedy.
La vicepresidente la notte scorsa ha segnato il primo punto un istante dopo essere comparsa sul palco, raggiungendo Trump dietro il suo podio e costringendolo a una stretta di mano. “Kamala Harris”, si è presentata guardandolo dritto negli occhi (non si erano mai incontrati). Era dal primo dibattito fra Trump e Hillary Clinton nel 2016 che i rancorosi candidati alla Casa Bianca non si scambiavano una stretta di mano in un evento come questo. Per Joe Navarro, un ex agente dell’Fbi specializzato in body language che ha analizzato il dibattito per Politico, “Harris lo ha colto alla sprovvista ed è tornata al suo posto col sorriso sulla faccia: ha ottenuto quello che voleva e lo sapeva”.
Ciò che ha incassato è stato far capire subito a Trump e al pubblico di non essere intimorita. Per novanta minuti l’ex presidente non ha mai girato la testa nella sua direzione e non l’ha mai guardata, mentre Harris ha trascorso un’ora e mezzo dividendosi tra parlare agli americani direttamente nella telecamera e rivolgersi a Trump. Specialmente nei momenti in cui parlava lui, la vicepresidente ha esibito una vasta gamma di posizioni (inclusa la mano sotto il mento, per esprimere stupore e curiosità) e mimica facciale che nel complesso hanno dato una sensazione di sicurezza e leadership. Con qualche momento di difficoltà, che Navarro ha individuato osservando i muscoli del collo che tradivano forte tensione.
Trump era stato dominante con Hillary Clinton nel 2016, a tratti anche invadendo il suo spazio in un dibattito in cui si potevano muovere sul palco, ma stavolta è apparso sempre sulla difensiva. Il doppio schermo con le immagini dei candidati affiancati lo aveva avvantaggiato a giugno con Biden, dando subito un’impressione di energia e dominio della scena. Stavolta lo sguardo degli spettatori è stato calamitato dalla mimica facciale della Harris.
Gli analisti repubblicani hanno attaccato l’eccesso di risate della vicepresidente, ritenendolo un gesto di debolezza. Molti americani probabilmente la pensano allo stesso modo e i social sono pieni di battute pesanti su “Kamala ridens”. Ma in generale l’umore in casa repubblicana è stato quello di una serata andata male, nonostante Trump ripeta che è stato il suo miglior dibattito.
Questo non significa che il dibattito abbia necessariamente cambiato qualcosa. Servirà qualche giorno per avere i primi sondaggi affidabili, soprattutto nei sette stati chiave che decidono la partita, che al momento sono in totale parità. L’impressione è che Kamala Harris possa ridare slancio a una campagna che dopo l’entusiasmo di agosto cominciava a mostrare segni di stanchezza. L’endorsement di Taylor Swift, da questo punto di vista, più che per spostare voti è importante per creare mobilitazione.
Da Filadelfia arriva comunque la conferma dell’importanza del confronto diretto, faccia a faccia, anche nelle campagne presidenziali dell’èra digitale. Niente aiuta gli elettori a farsi un’idea come assistere per un’ora e mezza a un corpo a corpo tra chi aspira a guidare il paese.