I cieli della Nato
I baltici (e Zelensky) chiedono di abbattere i droni russi, che si sono evoluti con componenti cinesi
La Russia minaccia i cieli europei con un nuovo drone d'attacco a lungo raggio con componenti cinesi. A Washington tutti parlano di una soluzione diplomatica dietro l’angolo, senza cambiamenti radicali all’assetto della Nato
Washington, dalla nostra inviata. Dopo il drone russo caduto su territorio della Lettonia sabato scorso – uno Shahed iraniano tra i tanti usati dalle Forze armate russe per penetrare e colpire l’Ucraina – i Paesi baltici chiedono alla comunità internazionale di cambiare le regole sulla protezione dei cieli della Nato. Il ministro della Difesa lituano, Laurynas Kasciunas, ha detto l’altro ieri ai giornalisti che le operazioni di controllo aereo “non devono solo pattugliare ma anche, se necessario, se possibile, se il tempo lo permette, accorciare la catena decisionale a livello Nato in modo da poter decollare immediatamente e distruggere i droni”. Sarebbe un passo particolarmente significativo nel coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto. Una base aerea in Lituania occidentale, la Šiauliai Air Base, è già il punto di controllo più operativo dell’Alleanza atlantica per monitorare e controllare i confini aerei della Nato in quella regione, ma secondo sempre più rappresentanti dei combattivi Paesi baltici non basta più: l’algoritmo, ha spiegato Kasciunas, è in grado di capire se un velivolo in avvicinamento allo spazio aereo della Nato è un velivolo perso o uno ostile, ma i tempi per far alzare in volo i jet dell’Alleanza e arrivare alla decisione di un eventuale abbattimento sono troppo lunghi.
Il ministro della Difesa lituano ha sottolineato ancora che una decisione simile dovrebbe essere comunque presa all’unanimità dai paesi membri, come da prassi, anche in caso di violazione dello spazio aereo lituano. Si tratta quindi delle procedure della Nato, da affinare e velocizzare, perché le violazioni da parte di droni russi dentro al territorio dell’Alleanza sono sempre più frequenti: è già successo che velivoli russi volassero sui cieli, oltre che della Lettonia, su quelli della Romania e della Polonia. E nel frattempo, secondo uno scoop di Reuters di ieri la Russia avrebbe iniziato a costruire un nuovo drone d’attacco a lungo raggio chiamato Garpiya-A1, anche con componenti cinesi: in un anno ne avrebbe costruiti 2.500. Tra gli analisti, c’è chi crede che certe operazioni russe, e perfino droni che non rispondono più ai comandi e perdono la rotta, possano in realtà rivelare dei test, una tattica militare per capire in quanto tempo e come la Nato è in grado di fermare un eventuale attacco aereo russo. Tra i diplomatici a Washington la frase che si sente dire più spesso è però: sangue freddo.
Non è il momento di cambiare la catena di comando della Nato e “lasciarsi prendere dall’emotività”, dice una fonte militare al Foglio. E del resto la decisione, che potrebbe arrivare nel brevissimo periodo, di autorizzare l’Ucraina a colpire più in profondità il territorio russo è già “un grosso passo in avanti” verso una nuova deterrenza contro Vladimir Putin. L’eventuale abbattimento di un drone russo da parte dell’alleanza della Nato in caso di violazione dello spazio aereo sarebbe una novità assoluta, e costringerebbe gli alleati ad abbassare il livello di interpretazione dell’Articolo 5 del Trattato fondativo, quello che sancisce la difesa collettiva.
Ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato di un “doppio standard” dell’occidente per quanto riguarda la difesa dell’Ucraina e quella di Israele: “Se gli alleati abbattono insieme i missili nel cielo del medio oriente, perché non si decide ancora di abbattere droni e missili sull’Ucraina? Anche quando questi droni volano verso l’Ue”, ha detto durante un evento a Kyiv. “Quando solleviamo questo problema durante i negoziati, i partner non dicono nemmeno che ci stanno lavorando come fanno con tutto il resto... cambiano semplicemente argomento. Hanno paura anche solo di dirci che ci stanno lavorando”. Zelensky ha ragione: a Washington tutti parlano di una soluzione diplomatica dietro l’angolo, senza cambiamenti radicali all’assetto dell’Alleanza atlantica.