I pizzini del terrore

La lettera di Sinwar a Nasrallah è il primo “grazie” dal 7 ottobre

Cecilia Sala

Il leader di Hamas fa un gesto di vicinanza esplicito al capo di Hezbollah, dopo le delusioni. La rete di comunicazione e la tana meno sicura a Gaza

Amman. Dal 7 ottobre le parole del capo di Hamas Yahya Sinwar sono rare. Il leader del gruppo è rimasto rintanato e in silenzio per mesi, poi ieri il sito di Hezbollah e i giornali iraniani sono stati i primi a pubblicare la lettera che Sinwar ha spedito a Hassan Nasrallah, il capo della milizia-partito libanese. Il passaggio in cui dice “il martirio del nostro comandante Ismail Haniyeh è una conferma che il sangue dei nostri leader non vale di più del sangue del nostro popolo” è stato interpretato come una risposta all’offerta israeliana di un passaggio sicuro per fuggire in cambio della consegna di tutti gli ostaggi ancora intrappolati nei tunnel di Gaza. Il leader di Hamas non vuole salvarsi la vita scappando e non vuole cedere il potere nella Striscia in cambio della fine delle bombe e della liberazione degli ostaggi. Vuole la vittoria e non la pace, e con l’esempio di Haniyeh – ucciso mentre era in visita a Teheran l’ultimo giorno di luglio – ricorda che i leader di Hamas possono morire anche a più di mille chilometri dalle bombe che hanno distrutto la Striscia, all’estero. I sotterranei di Gaza sono ancora la tana meno insicura, secondo Sinwar. 

 

L’11 settembre il funzionario israeliano che si occupa di coordinare le azioni per ottenere la liberazione degli ostaggi, Gal Hirsch, aveva detto alla Cnn che “se tutti i centoundici ostaggi rimasti nella Striscia venissero restituiti, accetteremmo addirittura di preparare un passaggio sicuro per il nuovo Adolf Hitler, il terrorista Sinwar. Sarebbe un passaggio sicuro per lui e per chiunque volesse portare con sé”. Hirsch aveva aggiunto che una volta tolto di mezzo il capo, Gaza sarebbe stata “demilitarizzata e deradicalizzata” e sarebbe stata governata “da un nuovo sistema” senza aggiungere dettagli. La fuga concordata con lo stato ebraico non è un’opzione che Hamas prende sul serio e così un accordo resta lontano, con i sottoposti di Sinwar che chiedono la liberazione di sedicimila palestinesi nelle carceri israeliane, compresi i loro miliziani, e il primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu che vuole mantenere il controllo sul cosiddetto corridoio Filadelfi, la linea di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto.

 

Non è chiaro come la lettera di Sinwar abbia viaggiato fino a Nasrallah e all’Iran, ma da quasi dieci mesi il capo di Hamas comunica – sempre meno – con i pizzini. Soltanto nelle prime settimane di guerra l’intelligence israeliana e quella americana erano riuscite a intercettare Sinwar: all’epoca il leader usava ancora i suoi telefoni per comunicare con i funzionari del gruppo palestinese a Doha. Le conversazioni erano possibili perché Hamas ha portato la rete cellulare nei tunnel. A ottobre le spie erano in grado di monitorare alcune delle chiamate, avevano anche scoperto che il capo di Hamas guardava tutte le sere il notiziario israeliano, ma non riuscivano a individuare la posizione di Sinwar sotto terra. In quel momento Gaza era assediata e stava finendo il carburante, così il ministro della Difesa Yoav Gallant aveva chiesto di fare entrare i camion di aiuti con i barili di benzina affinché Sinwar potesse alimentare i generatori che fanno funzionare le reti cellulari nei tunnel e Israele potesse continuare a intercettarlo. A distanza di poco però le agenzie di spionaggio avevano perso anche la voce del leader e avevano ipotizzato che fosse passato alle comunicazioni per iscritto, quando era necessario, consegnando le pagine ai suoi corrieri. 

 

La lettera con cui Sinwar dice grazie a Hezbollah e al suo leader per “il sostegno ai palestinesi sul campo di battaglia” sarebbe stata impensabile subito dopo il 7 ottobre, quando non esistevano comunicazioni pubbliche tra i due gruppi e Nasrallah veniva criticato dai fan del sedicente Asse della resistenza perché troppo cauto. All’epoca il capo di Hezbollah, in ogni sede, dopo le frasi di propaganda e di rito contro lo stato ebraico, ripeteva di non volere una guerra più grande e che la sua milizia-partito non aveva saputo nulla del 7 ottobre in anticipo, perché Hamas non l’aveva avvisata. Sinwar era rimasto deluso. Il suo calcolo era che la peggiore strage di ebrei dall’Olocausto avrebbe comportato una resa dei conti in medio oriente. E che l’Asse della resistenza si sarebbe mobilitato per intero alleggerendo la pressione su Hamas, perché le bombe sarebbero state ripartite su tutti i fronti a partire dal Libano. In dieci mesi, la prima volta che Nasrallah ha detto “siamo pronti a rischiare una guerra più grande” pur di vendicarci è stata alla fine di luglio quando il suo comandante Fuad Shukr è stato ucciso a Beirut il giorno prima della morte di Haniyeh a Teheran. Mentre il ministro della Difesa israeliano sostiene che “lo scenario di una guerra su vasta scala e su più fronti avvantaggia soltanto Yahya Sinwar”, il capo di Hamas abbraccia Nasrallah nel gesto di vicinanza più esplicito tra i due leader dal 7 ottobre.

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