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Divisioni

Liti tra gli insoumis, liti tra i socialisti. Cronache furiose della gauche francese

Mauro Zanon

François Ruffin e Anne Hidalgo accendono lo scontro contro i rispettivi leader Jean-Luc Mélenchon e Olivier Faure 

A tre mesi dalla nascita del Nuovo fronte popolare, l’ennesimo sogno unionista delle sinistre francesi, è già arrivato il momento della resa dei conti. La France insoumise (Lfi), il movimento della gauche radicale guidato da Jean-Luc Mélenchon, e il Partito socialista (Ps), formazione storica della Quinta Repubblica, sono sull’orlo di una crisi di nervi e, secondo alcuni osservatori, prossimi all’esplosione. Nel primo, è sempre più ampia la fronda degli Insoumis responsabili contro il líder maximo e i suoi metodi autoritari. Nel secondo, la vecchia guardia socialista guidata dalla sindaca di Parigi Anne Hidalgo non vede l’ora di sloggiare il primo segretario Ps Olivier Faure, reo di aver steso il tappeto rosso alla destra mettendo il veto sul nome di Bernard Cazeneuve alla guida del governo.

Ad aggravare la crisi nel partito mélenchonista è l’uscita di un libro incendiario firmato non da un militante qualsiasi ma da uno dei volti più noti di Lfi: François Ruffin, giornalista, autore di documentari e militante engagé prima di diventare deputato vedette delle truppe mélenchoniste. “Itinéraire: ma France en entier, pas à moitié” (Les Liens qui libèrent) è una requisitoria contro Mélenchon e il mélenchonismo. L’ex deputato Lfi, oggi nel gruppo ecologista, accusa il leader degli Insoumis di aver “puntato tutto” sul voto delle minoranze, abbandonando “i lavoratori” delle zone rurali, la classe operaia, sempre più sedotta dal discorso sociale e dalla retorica securitaria di Rn. Per Mélenchon, riconquistare il voto popolare nelle campagne e nelle città di piccole e medie dimensioni è una perdita di tempo. “Ci è voluto mezzo secolo per denazificare la Germania...”, avrebbe detto a Ruffin. Che rivela un altro episodio, emblematico del distacco tra i dirigenti di Lfi e la Francia periferica.

Di ritorno da un viaggio a Henin-Beaumont, feudo di Rn dal 2014, Mélenchon descrisse con queste parole la popolazione locale. “‘Non si capiva nulla di quello che dicevano’, ‘Puzzavano di alcol fin dalla mattina’, ‘Erano maleodoranti…’, ‘Quasi tutti obesi’”, racconta Ruffin, parlando di una “versione aggiornata” dello “snobismo di sinistra”. Ma il problema è anche interno a Lfi, un movimento “dove regna la paura” e “non c’è spazio per dibattere, discutere, contraddirsi, scambiare opinioni e superare le incoerenze”. Libération, il foglio della sinistra progressista, constata con una certa delusione che lo scontro tra Ruffin e Mélenchon è più grave di un semplice divorzio tra persone che si volevano bene e ora non se ne vogliono più: è il sintomo di un “malessere” più ampio che pervade la sinistra. E si schiera dalla parte di Ruffin, affermando che “Mélenchon è oggi un vero handicap per la sinistra”.

Anne Hidalgo, baronessa del socialismo parigino, pensa la stessa cosa di Olivier Faure. Già un anno fa, quando esisteva ancora la Nupes, la coalizione delle sinistre formatasi dopo le presidenziali del 2022, la prima cittadina di Parigi accusò Faure di trascinare tutti i socialisti “contro un muro” restando “all’ombra di Mélenchon”. “Crede di poter essere il figlio legittimo di Mélenchon quando quest’ultimo abbandonerà la France insoumise”, aggiunse Hidalgo in un’intervista al Parisien. Il punto di non ritorno, per la sindaca di Parigi, era stata la mancata condanna di Hamas come organizzazione terroristica da parte di Mélenchon e dei suoi giannizzeri, l’aver “messo sullo stesso piano una democrazia e dei terroristi”. La scorsa settimana, in un’intervista a Libération, ha rincarato la dose indicando Faure e la sua cerchia come i principali responsabili della nomina di Michel Barnier a Matignon: “Potevamo avere un primo ministro di sinistra in linea con il voto francese”, ha detto Hidalgo, prima di lanciare un’accusa a chi, per inimicizia personale e prossimità con Mélenchon, ha detto “niet” alla scelta di Cazeneuve: “C’era un nome, era Bernard Cazeneuve. Ed è stato il mio partito a impedire la sua nomina”. Le crepe all’interno del Ps erano già emerse durante le negoziazioni, quando la scelta di Barnier era ancora lontana. “Non possiamo essere gli ausiliari della France insoumise”, disse Hélène Geoffroy a Faure durante una riunione convocata d’urgenza a fine agosto, quando tutto lasciava pensare che a Matignon sarebbe andato un esponente della gauche. “Les derniers jours du Parti socialiste” è il titolo dell’ultimo romanzo di Aurélien Bellanger ma è anche la foto della crisi della principale famiglia della gauche francese.

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