medio oriente

L'attacco degli houthi su Tel Aviv mette Israele di fronte a una nuova necessità

Fiammetta Martegani

I razzi balistici che hanno cercato di colpire l’Aeroporto Ben Gurion nelle prime ore di domenica non sono stati intercettati, prima di entrare nel territorio israeliano, dai paesi alleati. D'ora in poi l’esercito potrà contare solo sulle proprie forze

Esattamente un anno fa Washington cercava di persuadere l’Arabia Saudita verso il grande passo per la normalizzazione delle relazioni con Israele, mentre i diplomatici di Riad erano molto più concentrati sul garantire un accordo di pace lungo i confini meridionali, con uno dei gruppi terroristici di maggior successo nei tempi moderni: i ribelli houthi dello Yemen. L’Arabia Saudita era finalmente giunta ad un accordo quando, 23 giorni dopo l’incontro a Riad, Hamas sfondava il confine dell’enclave, massacrando e rapendo civili israeliani e innescando quella catena di eventi che, da quasi un anno, vedono lo Yemen esposto in prima linea nell’attacco a Israele. Non solo come proxy di Teheran, ma anche come paese che cerca di dettare la propria egemonia in un’area geografica dagli equilibri sempre più delicati.

 

L’inaspettata pioggia di razzi che ha colpito Israele alle prime ore di domenica mostra come lo stato ebraico si trovi attaccato sempre su più fronti e, ancora una volta, non abbastanza preparato. “I razzi balistici che hanno cercato di colpire l’Aeroporto Ben Gurion sono stati intercettati dai sistemi antimissili solo quando questi erano già entrati nel territorio israeliano, senza venire intercettati, prima, dai paesi alleati: Giordania, Stati Uniti e – pur sen non formalmente – l’Arabia Saudita”. Sono queste le prime perplessità espresse al Foglio dal Prof. Shaul Chorev, Direttore dell'Istituto di Ricerca sulla Politica e la Strategia Marittima presso l'Università di Haifa, ed ex contrammiraglio della Marina israeliana esperto di sicurezza nazionale. Chorev dubita che questo intervento possa influenzare direttamente lo svolgimento dei colloqui tra israeliani e sauditi che sono stati sospesi, in ogni caso, fin dal 7 ottobre. Tuttavia, sottolinea come l’intensificarsi del conflitto nella regione non faccia che posticipare i tanto attesi Accordi di Abramo, sicuramente fino a quando verrà proclamato un successore alla Casa Bianca. Da un lato, ricorda, vanno prese in considerazione le elezioni americane alle porte, dall’altro gli interessi di un gruppo terrorista che, per certi punti di vista, risulta più estremista e pericoloso dell’Iran.

 

“Gli houthi stanno sperimentando su Israele come creare un impatto sull’intera regione” aggiunge il Prof. Eyal Pinko, Ricercatore senior presso il Centro di studi strategici Begin-Sadat dell'Università Bar Ilan, ex tenente colonnello, con 30 anni di esperienza nell’intelligence presso la Marina israeliana. Nel corso di queste sperimentazioni, ribadisce, le minacce verso Israele rientrano all’interno di un’ideologia, più estesa, nei confronti di ebrei e cristiani, in funzione pan-islamica. All’interno di questa cornice ideologica, il 7 ottobre gli houthi si sono immediatamente dichiarati alleati di Hamas, e questa alleanza è cresciuta senza precedenti. Laddove altri gruppi terroristici hanno esitato, questi hanno mostrato audacia: “Le loro milizie cambiano strategia di volta in volta e, grazie all’Iran, ora hanno la capacità di produrre droni e missili ad ampio raggio, nel proprio paese”. Pinko ha anche sottolineato come Teheran, per lo meno in questo momento, non sia interessata a un’escalation poiché, almeno fino a novembre, ha bisogno, strategicamente, di sostenere la nomina di Kamala Harris, scongiurando la vittoria di Donald Trump. Tuttavia, reputa che la decisione da parte dell’Iran di fornire i missili balistici al gruppo terrorista sia stata fatta per creare un ulteriore stato di allarme nella società civile israeliana, affinché questa spinga il governo a scendere a patti con Hamas, per raggiungere un cessate il fuoco a Gaza. Secondo Pinko, quindi, quest’ultimo attacco da parte degli Houthi andrebbe visto, soprattutto, come un’importante mossa sul piano psicologico.

 

“Va aggiunto anche il contesto specifico all’interno del quale è stata compiuta questa mossa – conclude il Prof. Michael Barak, senior researcher dell’Instituto per il Contro-terrorismo presso la Reichman University di Herzliya – Domenica si celebrava il compleanno del profeta Maometto, per tanto quest’operazione ha sicuramente un forte significato simbolico, come il tentativo di attaccare un luogo così simbolico come l’aeroporto Ben Gurion. La vera domanda da porsi non è tanto nel perché gli houthi abbiano agito in questo modo, ma perché non abbiano reagito per tempo i paesi alleati che, formalmente, hanno dichiarato di non aver intercettato i razzi per paura che i pezzi dei missili intercettati, cadendo sul proprio territorio, avrebbero potuto ferire dei civili. Aldilà delle ovvie ragioni diplomatiche dei paesi coinvolti, è presumibile che, da ora in poi, l’esercito israeliano dovrà fare i conti solo sulle proprie forze”.

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