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L'editoriale del direttore

Dare a Zelensky il Nobel per la Pace

Claudio Cerasa

Non c’è nessuno al mondo che sta facendo più del presidente ucraino per inviare un messaggio ai dittatori del pianeta: la democrazia sa come difendersi dalle aggressioni dai nemici della libertà. Bandiere bianche no, grazie. Un appello

Si vis pacem, para bellum. Tra meno di un mese, l’11 ottobre, il comitato per il Nobel norvegese annuncerà, come da tradizione, il prossimo Nobel per la Pace. Negli ultimi dodici anni, il comitato norvegese ha spesso compiuto delle scelte coraggiose, premiando personalità, individui e soggetti in grado di testimoniare, con la forza della propria storia, del proprio esempio, del proprio eroismo, del proprio lavoro, un aspetto che l’opinione pubblica internazionale non sempre riesce a collegare alla parola pace: la libertà. Nel 2014, il Nobel è stato assegnato a Malala Yousafzai, la cui storia di ribellione contro un estremismo islamico desideroso di allontanare dagli studi le donne ha ispirato una generazione di studentesse in Pakistan e in Afghanistan. Nel 2023, il Nobel è stato conferito a Narges Mohammadi, attivista iraniana per i diritti umani, detenuta nella prigione di Evin, a Teheran. Nell’anno in corso, ci potrebbero essere molte piccole storie in grado di testimoniare, in giro per il mondo, delle grandi battaglie combattute per difendere la libertà. Ma nessuna storia ha la forza di eguagliare quella di una figura che da due anni e mezzo sta facendo più di tutti, più di chiunque altro, per proteggere la nostra libertà, oltre che quella del suo popolo, e per difendere l’ordine liberale mondiale che ha come pilastro la difesa della pace.

Quella figura coincide perfettamente con il volto di Volodymyr Zelensky, il presidente dell’Ucraina. Non c’è nessuno nel mondo che ha fatto più di Zelensky per inviare ai dittatori di tutto il mondo, da Erdogan, a Xi Jinping, passando ovviamente per Putin, un messaggio preciso: l’occidente non è come il burro, la democrazia sa come difendersi, la società aperta ha gli anticorpi per reagire alle aggressioni, e i regimi illiberali che vogliono usare la forza per imporre la loro legge devono sapere che troveranno un muro solido formato da tutti coloro che vogliono difendere la pace. Zelensky, difendendo il suo paese, ha fatto di più per combattere i nemici della pace di quanto abbia fatto la maggior parte dei vincitori del premio Nobel per la Pace durante la propria carriera (nel 2009, per gli smemorati, il Nobel è stato dato anche a Barack Obama, anche se nessuno ne capisce ancora le ragioni: urge commissione di inchiesta).

Zelensky, in un colpo solo, ha ridimensionato i sogni espansionistici della Russia di Vladimir Putin, ha ridato alla Nato una buona dose di linfa vitale, ha spinto i paesi neutrali a scegliere da che parte stare, ha permesso di smascherare gli utili idioti delle dittature, ha costretto l’Unione europea a emanciparsi dalla dipendenza Russa, ha ricordato al mondo che le società aperte, pur con i loro limiti, i loro vizi, i loro problemi sanno che quando i confini delle democrazie vengono aggrediti di fronte a quelle aggressioni sventolare le bandiere bianche, come suggerito in questi mesi più volte dall’internazionale del pacifismo ipocrita, è il modo peggiore per proteggere la pace. Se tutto questo non fosse sufficiente per spiegare la ragione per cui la comunità internazionale – oltre inviare armi all’Ucraina e concedere a Zelensky di usare le armi per difendersi come meglio crede – dovrebbe mobilitarsi per chiedere unita di trasformare il presidente ucraino nel simbolo della difesa della pace si potrebbe fare uno sforzo in più e ricordare che dodici anni fa, nel 2012, il Premio Nobel per la Pace è stato dato alla stessa Unione europea che Zelensky sta difendendo con tutta la forza possibile.

“Per oltre sei decenni – scrisse il comitato per il Nobel per la Pace il 12 ottobre 2012 – l’Unione europea ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani”. Zelensky sta difendendo tutto questo. E ci sta anche ricordando che, come diceva sant’Agostino, nella sua famosa lettera numero 189, se vuoi difendere la pace può capitare che tu debba preparati a combattere. “La pace – diceva sant’Agostino – deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace. Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi”. Si vis pacem, para bellum. E se vuoi difendere la libertà, oggi il Nobel per la Pace non può essere che dato a lui: al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.