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Presidenziali americane

Le armi, gli attentati, le accuse violente, i sondaggi in parità: adesso tocca a Biden calmare l'America

Marco Bardazzi

I dem di Harris cercano di convincere gli elettori in dubbio, mentre i volontari di Trump si organizzano per presidiare i seggi, pronti a contestare i risultati: in un clima sempre più teso, la Casa Bianca dovrà fare l'impossibile per evitare che le spaccature interne indeboliscano ancora di più la democrazia americana

Adesso è allarme rosso per la corsa alla Casa Bianca. Mancano circa cinquanta giorni al voto e la tensione è alle stelle. In un paese pieno di armi e rancori, due tentativi in due mesi di uccidere un candidato presidente costringono ad alzare al massimo le misure di sicurezza, per proteggere Donald Trump e Kamala Harris con gli stessi metodi eccezionali di solito riservati soltanto al presidente in carica. Una circostanza che contribuirà a scaldare ancora di più gli animi e ad alimentare la percezione di un’America che sta andando fuori controllo. Due dati di fatto appaiono sempre più evidenti, all’indomani del nuovo sventato assassinio di Trump. Il primo è che difficilmente tutto quello a cui stiamo assistendo finirà il 5 novembre, al momento di votare.
 


Il crescendo di accuse incrociate tra i due partiti, unito ai sondaggi in perfetta parità, fa temere che dopo l’Election day si apra un pericoloso periodo di contestazioni, battaglie legali e proteste. Il secondo dato è che adesso un compito decisivo torna ad averlo Joe Biden. Gli ultimi mesi della lunghissima carriera politica del presidente si profilano come un periodo in cui toccherà a lui fare da arbitro, paciere e garante della sicurezza del paese. Prima di lasciare l’incarico il 20 gennaio 2025,  Biden deve cercare non solo di trovare soluzioni per il futuro dell’Ucraina e di Gaza, ma anche vigilare sulla tenuta della democrazia americana


In questo contesto, è abbastanza preoccupante vedere quale strategia stiano privilegiando i repubblicani negli swing states, i sette stati che possono decidere le elezioni. Mentre i democratici, seguendo una tradizione consolidata, si stanno concentrando sulla mobilitazione degli elettori per portarli ai seggi il 5 novembre, il team di Trump sta investendo molto di più in progetti di “election integrity”. Lavora cioè a prepararsi a presidiare i seggi con un esercito di volontari addestrati a contestare gli scrutini del voto. Qualche numero per rendere l’idea: Kamala Harris ha 60 mila volontari per il porta a porta nella sola Pennsylvania, Trump risulta avere 27 mila volontari con lo stesso compito sparsi su sette stati. Ma nello stesso tempo i repubblicani hanno creato una squadra di “election integrity” che secondo Axios conterebbe su 175 mila persone, che si muoveranno nei seggi con l’approccio degli osservatori internazionali alle prese con le elezioni in paesi autoritari. Detto in modo un po’ crudo: i democratici stanno cercando di vincere la partita, i repubblicani si preparano a contestare l’arbitro.


Il ruolo di arbitri in ultima analisi spetterà alla Casa Bianca di Biden e alla Corte suprema, quest’ultima controllata da una maggioranza conservatrice di sei a tre che ha già concesso molto a Trump. Con la possibilità di un inevitabile scontro tra poteri. In passato questa supervisione ha funzionato. Per esempio nelle elezioni del 2000, che si incepparono in Florida per la difficoltà di capire chi avesse vinto la contea di Palm Beach (la stessa dove Trump è appena sopravvissuto al suo secondo attentato), diventata decisiva per assegnare la Casa Bianca. Anche allora a fare da arbitri tra il repubblicano George W. Bush e il democratico Al Gore toccò al presidente in carica, Bill Clinton – come Biden impegnato fino all’ultimo anche nel cercare un accordo di pace tra israeliani e palestinesi – e poi alla Corte suprema. Ma era un’America assai meno divisa di quella di oggi, nella quale persisteva il rispetto nelle istituzioni federali. I giudici decretarono che aveva vinto Bush e l’avversario si affrettò a prenderne atto e a congratularsi. Difficile immaginare che possa avvenire qualcosa di simile negli Stati Uniti odierni.
 

A Biden adesso spetta di nuovo, come a luglio, il compito di invitare il paese all’unità, ma anche quello – meno visibile ma altrettanto importante – di prepararsi al peggio. Nell’immediato, la Casa Bianca e il Congresso devono alzare il livello di protezione a tutti i politici in corsa per cariche elettive. Il Secret Service, il corpo speciale che protegge il presidente e chi punta a prendere il suo posto, è di nuovo sotto i riflettori come era accaduto dopo gli spari contro Trump a Butler, in Pennsylvania. In questi due mesi le misure di sicurezza sono visibilmente aumentate, Harris e Trump (e i loro vice) girano con scorte più consistenti e parlano nei comizi protetti da lastre di vetro antiproiettile. Quello che è accaduto sul campo da golf di Palm Beach è in realtà un caso di successo per gli agenti del Secret Service, che hanno individuato e neutralizzato il pericolo. Ma il fatto che Ryan Wesley Routh sia riuscito ad appostarsi a poco più di 400 metri da Trump, con un fucile semiautomatico simile a un Ak-47 con matricola abrasa, allarma sulla reale capacità delle forze dell’ordine di proteggere i candidati. “Il Secret Service ha bisogno di più aiuto e il Congresso deve intervenire subito”, ha detto Biden


Insieme alle misure più immediate per alzare il livello d’attenzione in un paese dove le armi in circolazione superano il numero degli abitanti, il presidente e il governo uscente devono però anche prepararsi agli scenari che potrebbero aprirsi dopo il 5 novembre, se le elezioni sfociassero in proteste. L’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 potrebbe sembrare un episodio da niente, rispetto alla prospettiva di mobilitazioni armate sparse in molteplici stati dell’Unione.