Dalla Spagna
Fango e bavaglio: ecco il nuovo piano dello spagnolo Sánchez contro le falsità
Nuovi registri, allentamenti penali e inasprimenti a tutela dell'onorabilità: c’è un po’ di tutto nel progetto di “rigenerazione democratica” del premier per riformare l'informazione. Le opposizioni denunciano la "deriva venezuelana" di queste misure, anche se attuarle sembra piuttosto improbabile
Quando il premier spagnolo Pedro Sánchez era riapparso dopo le sue personalissime “cinque giornate” – ovvero dopo quell’irrituale pausa di riflessione che si era preso in aprile per capire come reagire davanti alle inchieste giornalistiche, a suo dire calunniose, e alle conseguenti indagini giudiziarie, a suo dire infondate, ai danni della moglie Begoña Gómez – aveva annunciato che, sì, sarebbe rimasto al suo posto, ma avrebbe preso delle misure per inceppare le macchine del fango manovrate da quelli che lui stesso aveva definito “pseudo mezzi di informazione”. E finalmente, cinque mesi dopo quell’annuncio, mentre procedono (finora senza quagliare) le indagini su Begoña Gómez, il governo ha annunciato un “piano di rigenerazione democratica” in trentuno punti.
Il vaste programme di Sánchez, per ora generico ma molto ad ampio spettro, ha scatenato l’opposizione che parla di censura e di deriva venezuelana. Il leader del Partito popolare, Alberto Núñez Feijóo, ha detto: “Non si vedeva niente di simile dai tempi di Franco”, un periodo storico di cui peraltro i suoi potenziali alleati di Vox sembrano talvolta avere un po’ di nostalgia. Tra le misure proposte c’è un po’ di tutto: la creazione di un registro dei mezzi di informazione che mostri quali proventi abbiano ricevuto dalla pubblicità, una riforma della legge sulla pubblicità istituzionale per impedire che le amministrazioni pubbliche sovvenzionino eccessivamente alcuni media a danno del pluralismo, l’allentamento degli articoli del Codice penale che riguardano la libertà di espressione (derubricando, ad esempio, le offese alla religione ma forse non quelle alla Corona), l’inasprimento delle leggi che proteggono l’onorabilità e che impongono rettifiche, l’introduzione dell’obbligo di condurre dibattiti pubblici prima delle elezioni e dell’obbligo di pubblicazione dei microdati per chi conduce sondaggi elettorali, una riforma della legge sui segreti di stato e così via.
Al netto delle preoccupazioni di chi pensa che il governo voglia mettere il bavaglio all’informazione, un aspetto che va sempre valutato con attenzione, sembra improbabile che questa slavina di misure, che nelle intenzioni del premier dovrebbero essere perfezionate nel corso dei prossimi tre anni, possa trasformarsi in qualcosa di concreto. Da quando gli indipendentisti catalani di Junts si sono messi a fare i dispettosi, e anche altri partner dei socialisti, da Podemos ai nazionalisti baschi, hanno intensificato il ricorso ai “distinguo”, il governo Sánchez ha numeri risicatissimi (quando ce li ha) in Parlamento. Le misure andranno quindi negoziate a una a una con i vari partitini (“accettiamo di votare a favore della possibilità di pubblicare le foto degli agenti di polizia durante le manifestazioni solo se contestualmente vietiamo loro l’uso delle pallottole di gomma” e cose così). E per ciascuna di esse andrà trovata una specifica maggioranza in Parlamento, che talvolta dovrà essere assoluta: infatti, per varare nel suo complesso il “piano di rigenerazione democratica”, il governo dovrebbe intervenire oltre che sul Codice penale, anche sulla legge elettorale e su varie “leggi organiche” per modificare le quali servono maggioranze qualificate.
Inoltre, questo progetto per riorganizzare le normative che riguardano i media al fine di ridurre le bufale, la disinformazione e la diffusione di notizie calunniose assomiglia al tentativo di spegnere un incendio a sputi, dal momento che, in Spagna come altrove, le fake news dilagano non solo attraverso i media e gli “pseudomedia” di cui parla Sánchez, ma anche e soprattutto attraverso canali ben più informali e a conduzione “privata” che sfuggirebbero alle maglie di questa eventuale normativa. Ma, dal momento che Sánchez sembra immune al logorio derivante dalla negoziazione permanente, il farsi vedere impegnato per anni in un difficile lavorio per combattere il moloch della disinformazione potrà forse giovare alla sua immagine, aiutandolo a dipingere l’opposizione come pericolosa per la democrazia e ad appiattire la dialettica politica sulla dicotomia “o con noi o con i difensori delle bufale”. Facilitato in questo, va detto, dalla comparsa sulla scena dell’allucinatorio movimento Se Acabó La Fiesta (4,5 per cento alle europee) che affonda le sue velenose radici proprio nelle bufale disseminate sui social dal suo creatore Alvise Pérez.
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