commissione europea
Sul doppio binario con Teresa Ribera
La vicepresidente spagnola della Commissione europea vuole legare una rigorosa agenda verde all’industria e cita sempre Draghi. L’ambizione competente di chi sa “liderar” e il contrappeso (forse l’unico) a von der Leyen
Da quando Ursula von der Leyen l’ha inserita nella sua nuova squadra ancora in attesa di approvazione da parte del Parlamento di Strasburgo – con il ruolo di vicepresidente esecutiva della Commissione europea per un Transizione pulita, giusta e competitiva con competenza anche sulla Concorrenza – si fa un gran parlare della spagnola Teresa Ribera. L’attuale ministra per la Transizione ecologica e per la sfida demografica nel governo guidato dal socialista Pedro Sánchez, in cui ha anche il ruolo di vicepremier, viene infatti indicata, quantomeno in potenza, come la futura “numero due” della Commissione europea, dal momento che, in base alla sua composita delega, gestirebbe non soltanto l’“agenda verde”, che si annuncia centrale ancorché fonte di infinite controversie, ma anche il settore della Concorrenza, la cui formidabile rilevanza è stata ben illustrata dalla vigorosa azione della commissaria che se n’è occupata negli ultimi dieci anni, la liberale danese Margrethe Vestager. Per un ruolo del genere serve qualcuno sicuro di sé. Una caratteristica, questa, che alla ministra spagnola non fa certo difetto.
A chi volesse misurare la determinazione di Ribera basterebbe andare a rivedersi l’intervista da lei rilasciata ad Aimar Brezos, che conduce la trasmissione radiofonica “Hora 25” sulla Cadena Ser. In quell’intervista a caldissimo, fatta all’indomani delle elezioni europee in cui era candidata come capolista per il Partito socialista, posta davanti alla domanda “Lei aspira a essere vicepresidente della Commissione europea?”, invece di schermirsi con frasi da dopopartita del tipo “deciderà il mister”, Ribera spiegava con sorridente quanto gelida razionalità perché quel posto spettasse proprio alla Spagna (e, più precisamente, a lei). Che, per una questione di equilibri interni alla Commissione, alla destra di Von der Leyen dovesse per forza sedere un esponente progressista era cosa nota a tutti, e va bene. Ma Ribera non aveva dubbi neppure su quale avrebbe dovuto essere la nazionalità del prescelto: nel gruppo socialista al Parlamento europeo, spiegava in quell’intervista, il drappello degli spagnoli è secondo per consistenza solo a quello degli italiani (i deputati del Psoe sono venti, mentre quelli del Pd di Elly Schlein sono ventuno), ma i seggi spagnoli sono frutto di un rotondo 30 per cento dei voti a livello nazionale, mentre il Pd italiano, alle ultime europee, ha preso solo il 24,1 per cento. E, soprattutto, in Spagna il Psoe governa, mentre in Italia il Pd è all’opposizione. Ma non basta: in quella stessa intervista del giugno scorso, a poche ore dalla chiusura delle urne, Ribera dimostrava di sapere già che, tra tutti i socialisti spagnoli papabili, il secondo posto più prestigioso della Commissione europea sarebbe stato destinato proprio a lei. Infatti, aveva già una risposta pronta alla domanda “Quale sarà la sua priorità in quanto commissaria?”, come se l’incarico le fosse già stato conferito: “Rinforzare l’agenda sociale nel contesto dell’agenda verde, perché l’agenda verde è lo strumento che può permetterci di modernizzare la struttura economica dell’intera Europa. Gli investimenti e i fondi europei devono essere impiegati proprio per generare innovazione e competitività dell’industria europea – non solo nel settore energetico – e per generare innovazione e occupazione di qualità. Tutto questo ci obbliga a riflettere su come rinforzare l’agenda sociale in modo che i lavoratori e i consumatori, che sono legittimamente preoccupati per questi cambiamenti così rapidi che si stanno verificando in tutto il tessuto produttivo, non ricevano contraccolpi negativi”.
Se confermata nel suo ruolo di vicepresidente di von der Leyen, Ribera sguarnirà il governo di Madrid della sua competenza ma andrà a completare il tridente di Sánchez in Europa, aggiungendosi alla presidente della Banca europea per gli investimenti Nadia Calviño, che in passato è stata ministro dell’Economia e vicepremier della Spagna, e a Iratxe García Pérez, capogruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento di Strasburgo. La presenza di Ribera nella Commissione, oltretutto, consentirà al premier spagnolo di avere più influenza in Europa, dal momento che il precedente commissario espresso da Madrid – il socialista catalano Josep Borrell, che è stato per cinque anni l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza – ha un’indole da battitore libero e, in ogni caso, non può essere annoverato tra i fedelissimi di Sánchez.
Della formazione accademica e dell’attività professionale di Teresa Ribera, che è nata a Madrid nel 1969, si sa tutto. Laureata in Giurisprudenza alla Università Complutense di Madrid e specializzata in Diritto costituzionale e in Scienze politiche presso il Centro de estudios políticos y constitucionales, ha poi insegnato Diritto pubblico e Filosofia del diritto alla Universidad Autónoma de Madrid. La sua attività lavorativa principale, però, ha sempre avuto a che fare con i temi ambientali. Ha iniziato come funzionaria e ha poi sviluppato un’intera carriera in quel settore. E’ stata infatti, in ordine cronologico, direttrice della Oficina española de cambio climático, segretaria di stato per il Cambiamento climatico e la biodiversità (nel secondo governo di José Luis Rodríguez Zapatero) e poi direttrice dell’Institut du développement durable et des relations internationales (un istituto di ricerca indipendente con sede a Parigi). Inoltre è fluent sia in inglese sia in francese.
Pochissimo si sa invece della sua vita privata. Nei profili di Ribera comparsi sui giornali negli ultimi anni rimbalzano sempre le solite notiziole ipergeneriche: le piace leggere, le piace la musica, le piace il calcio (pare che sia una colchonera, ovvero una tifosa dell’Atlético Madrid), le piace cucinare, le piace fare delle camminate all’aria aperta. Insomma, non si sa bene che cosa le piaccia fare, di preciso, nel suo tempo libero, al di là di quello che piace un po’ a tutti. Molto si sa invece della sua famiglia, dal momento che sia il padre (José Manuel Ribera, medico geriatra di fama) sia la madre (Teresa Rodríguez de Lecea, studiosa del filosofo Karl Krause e dei suoi seguaci) godono di una certa notorietà. Si sa inoltre che la sua è una famiglia numerosa: lei è la più grande di cinque fratelli e ha, a sua volta, tre figlie.
E’ ben noto alle cronache anche il marito di Ribera, Mariano Bacigalupo, nato a Buenos Aires e poi arrivato in Spagna da bambino con la famiglia in fuga dalla dittatura argentina – al padre di Mariano, Enrique, che si era già laureato in Giurisprudenza e aveva conseguito un dottorato in patria, dopo essere scappato in Spagna toccò fare nuovamente il dottorato, perché il suo titolo di studio non era riconosciuto in Europa e svolse una brillante carriera nella magistratura spagnola per poi difendere in età più avanzata, questa volta in qualità di avvocato, Leo Messi.
Il Partito popolare spagnolo ha annunciato di non voler sostenere nel Parlamento di Strasburgo la conferma di Ribera a commissaria e a vicepresidente della Commissione: “Una persona che è stata una cattiva ministra per la Spagna non può essere una buona commissaria per l’Europa […]. E, in ogni caso, non siamo favorevoli a esportare il sanchismo”, ha dichiarato Miguel Tellado, portavoce del Pp. L’arma con cui il centrodestra spagnolo vuole intralciare la corsa di Ribera verso il vertice della Commissione europea è proprio suo marito. Nelle prossime settimane tutti i commissari in pectore dovranno affrontare, come da regolamento, un severo esame da cui non tutti, in passato, sono usciti indenni: si tratta di una interrogazione da parte degli eurodeputati, che possono sondare la competenza dei futuri commissari e l’assenza di “controindicazioni” che possano sconsigliare di conferire loro l’incarico. Il Pp medita di sollevare in quella sede il tema della presunta incompatibilità di Ribera con la carica di commissaria alla Concorrenza, facendo leva sul fatto che in Spagna suo marito Mariano Bacigalupo, dopo essere stato consigliere della Commissione nazionale per i mercati e la concorrenza, siede attualmente nel consiglio della Commissione nazionale del mercato azionario (che corrisponde alla nostra Consob). Peraltro, proprio per ragioni di opportunità, Bacigalupo dovrà rinunciare a concorrere a una carica per cui avrebbe senz’altro i titoli, quella di presidente della Commissione nazionale spagnola dell’energia appena “sganciata”, per volere di sua moglie, dalla Commissione nazionale per i mercati e la concorrenza che era stata fino a qui competente in materia.
E’ improbabile però che la popolare tedesca von der Leyen possa permettere che la vicepresidente da lei selezionata venga immolata sull’altare della competizione politica interna alla Spagna: d’altronde, tra i popolari europei, guidati dal suo connazionale Manfred Weber, la sua voce conta ben di più di quella del leader dei popolari spagnoli, Alberto Núñez Feijóo. Non bisogna però dimenticare che il passato da politica-attivista di Ribera non garbi per nulla anche ad altri, dalla Francia di Emmanuel Macron, che non apprezza la sua posizione ostile al nucleare, a tutti i paesi che vogliono proteggere il settore automotive.
Ribera, che pure dà l’impressione di voler legare il perseguimento di una rigorosa agenda verde a una crescita dell’industria, non ha paura di fare il poliziotto cattivo per spaventare gli interlocutori prima di tranquillizzarli nelle vesti del poliziotto buono, com’è accaduto ad esempio con Josu Jon Imaz, l’amministratore delegato di Repsol, il più grande gruppo spagnolo che si occupa di gas e petrolio. All’inizio dell’anno, dandogli con disinvoltura del “negazionista climatico” e del “ritardista”, la ministra Ribera ha fatto sfuggire la frizione a Imaz che pure, in una sua vita precedente, come leader del Partito nazionalista basco, aveva esibito un talento politico formidabile. In questo caso, invece, Imaz si è innervosito: “La vogliamo o no l’industria, ministra Ribera? Vuole forse che chiudiamo le raffinerie, che nel caso di Repsol impiegano, nella sola Spagna, ventottomila persone, tra posti di lavoro diretti e posti di lavoro nell’indotto? E’ forse questo ciò che vogliamo come società? E’ forse questo che vogliamo per i nostri giovani? O vogliamo invece che la Spagna abbia un’industria forte?”. Ribera gli ha risposto così, facendolo passare per un esagitato: “Credo che quelle di Imaz siano più che altro delle domande retoriche che esprimono probabilmente un momento di rabbia”. E ha poi prontamente spento la lite, dicendo di non avere alcun dubbio: per ora, ovviamente, le raffinerie restano dove sono.
Ribera, d’altronde, si è spesso dimostrata un’artista del doppio binario. Da un lato mostra una certa radicalità, che piace ai sostenitori di un ambientalismo rigoroso. Ma dall’altro mostra una grande propensione al dialogo, comportandosi come un’interlocutrice ragionevole con chi ha idee più gradualiste. Il risultato è una certa efficacia quando si tratta di negoziare. In occasione dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, ad esempio, insieme con il suo omologo portoghese Duarte Cordeiro riuscì a ottenere (proprio dalla commissaria europea alla Concorrenza Vestager, che sarà proprio lei a sostituire) la cosiddetta “eccezione iberica”, ovvero la possibilità di stabilire politicamente un tetto al prezzo del gas da utilizzare per la produzione di energia termoelettrica. Visto che la penisola iberica ha una situazione molto particolare a livello energetico in quanto ha scarse interconnessioni con il mercato centrale dell’Ue, la commissaria Vestager consentì alla Spagna e al Portogallo una deroga affinché potessero produrre energia da fonti fossili a un prezzo calmierato – anche come “premio” per il fatto che una percentuale elevata dell’energia prodotta nei due paesi proviene da fonti rinnovabili.
Un accordo per agevolare, ancorché solo temporaneamente, la produzione di elettricità da fonti fossili non è stata di certo un’iniziativa da estremista green. D’altronde, nelle ultime settimane, Ribera ha citato più volte il rapporto di Mario Draghi, definendo “corretta” la diagnosi dell’ex premier italiano sull’economia europea. Citare Draghi, peraltro, è la maniera più rapida per accreditarsi come una futura commissaria e vicepresidente intenzionata a spingere per un’azione vigorosa senza però appiattirsi sui diktat dell’ambientalismo più ideologico, che spaventerebbero eccessivamente i colleghi che appartengono al Partito popolare europeo. Si può dialogare e perfino governare anche con chi ha posizioni decisamente diverse, dà a intendere la vicepremier spagnola. L’importante, sostiene, è isolare la destra estrema.
Da commissaria Ribera dovrà per forza trovare accordi con chi la pensa in modo diverso da lei: timorosa che i notevoli poteri che sta per conferirle potessero rivelarsi eccessivi, von der Leyen ha infatti spezzettato le competenze in modo che, per quanto riguarda il mondo produttivo, la vicepresidente spagnola dovrà relazionarsi con il vicepresidente per la Prosperità e la strategia industriale, il francese Stéphane Séjourné (macroniano), e per quanto riguarda i temi ambientali dovrà collaborare con il commissario per l’Azione per il clima, le emissioni zero e la crescita economica pulita (il popolare olandese Wopke Hoekstra), con il commissario per l’Energia e l’edilizia abitativa (il socialista danese Dan Jørgensen) e con la commissaria per l’Ambiente, la resilienza idrica e un’economia circolare competitiva (la popolare svedese Jessika Roswallm).
Nonostante queste cautele, per la presidente tedesca il rischio che la vicepresidente spagnola diventi la sua principale avversaria interna alla Commissione è però concreto. Da parte sua, in un’intervista al País, l’attuale vice di Sánchez ostenta sicurezza. Quando le viene fatto notare che la presidente della Commissione, dividendo il portafoglio della Transizione verde tra quattro commissari, ha diluito le possibilità di una sua azione concreta ribatte: “Al contrario: von der Leyen ha dato a me il mandato di coordinarli”. E, nella stessa intervista, Ribera non nasconde che in una Commissione più sbilanciata a destra della precedente lei possa paradossalmente ritagliarsi un ruolo più vistoso: “Una delle mie responsabilità nei prossimi anni sarà questa: guidare la famiglia socialdemocratica, la famiglia verde, la famiglia di sinistra, che è meno rappresentata di altre volte nella Commissione, ma che difenderà le sue proposte”. “Guidare”, dice Ribera. Ma in spagnolo il verbo è ancora più esplicito: “liderar”. Praticamente un’autoinvestitura a presidente-ombra della Commissione europea.