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Autoritarismi

La libertà religiosa in Cina non esiste. A contare è solo il Partito

Pasquale Annicchino

I piani quinquennali di "sinicizzazione" hanno l'obiettivo di sottomettere con ogni mezzo necessario tutti i gruppi religiosi che deviano dall'ideologia dello stato, tra cui cattolici, musulmani e buddhisti. Un altro capitolo del grande romanzo distopico del controllo totale di corpi e anime

Le lealtà assolute non tollerano concorrenza. Non è forse possibile inquadrare in altro modo la costante politica autoritaria che il Partito comunista cinese ha ormai da anni intrapreso nei confronti dei gruppi religiosi. Obbedire al Partito o rischiare la sottomissione definitiva e totale da parte dell’apparato statale machina machinarum dei desiderata del Partito. Il rapporto pubblicato lo scorso 23 settembre dalla U.S. Commission on International Religious Freedom, l’organismo bipartisan che negli Stati Uniti si occupa dello stato della libertà religiosa nel mondo, lascia pochi dubbi. La “sinicizzazione”, il grande piano del Partito comunista cinese per la sottomissione dei gruppi religiosi, è ormai diventato il “principio guida del governo”. Lo sforzo del Partito comunista cinese è quello di intervenire con decisione su tutti i gruppi religiosi al fine di eradicare ogni possibile deviazione rispetto all’ideologia del Partito anche mediante “l’installazione di leader religiosi, modifiche all’architettura dei luoghi di culto per renderli compatibili con architetture approvate dal Partito, integrazione dell’ideologia di Partito nel corpus teologico dei diversi gruppi religiosi, criminalizzazione delle attività religiose non approvate dal Partito”.

Come scrivono gli autori del rapporto, lo sforzo, ormai in essere da più anni, è rivolto al “controllo totale” dei gruppi religiosi. Nel rapporto si fa riferimento all’articolo 5 della legge dello Xinjiang sugli affari religiosi prevede un obbligo di “pratica dei valori fondamentali del comunismo” e l’articolo 6 obbliga i gruppi religiosi ad una gestione dove non siano presenti “interferenze straniere”. Sono stati poi approvati i piani quinquennali di “sinicizzazione” (2023-2027) dove sono previsti i programmi di “rieducazione” e “correzione” a cui deve essere sottoposto ogni gruppo religioso. Il caso più noto è ovviamente quello della minoranza musulmana uigura dello Xinjiang. Sono circa un milione, secondo il report, gli uiguri (con altre minoranze turcofone) che sono stati rinchiusi nei “campi di rieducazione” voluti dal Partito comunista cinese dove sono stati sottoposti a molteplici violazioni dei loro diritti fondamentali e in alcuni casi a torture e sterilizzazioni forzate.

Ugualmente note sono le azioni intraprese da anni nei confronti del Dalai Lama e il tentativo di eradicare la sua influenza in Tibet. Nel rapporto si fa riferimento a piani del governo cinese in merito alla successione del Dalai Lama che dovrebbe avvenire, in questa prospettiva, “nel rispetto del diritto cinese”. Nel caso di chiese cattoliche e protestanti si è assistito alla rimozione delle croci e alla sostituzione di immagini di Gesù e della Madonna con quelle di Xi Jinping, all’imposizione di testi religiosi approvati dal Partito e alla censura di quelli non approvati. Secondo gli autori del rapporto, sono ormai milioni i cristiani che hanno rifiutato di unirsi alle “chiese patriottiche” controllate dal Partito per vivere la loro religiosità individualmente o in comunità che praticano la loro religione in segreto. Nel caso della Chiesa cattolica si sottolinea inoltre come il governo continui a nominare vescovi in assenza di consultazione o approvazione di Roma.

Alla luce delle evidenze ricordate dagli autori del rapporto, viene facile concludere che la politica di “sinicizzazione” del Partito comunista cinese rappresenti solo un altro capitolo del grande romanzo distopico del controllo totale che punta a conquistare corpi e anime. Non si tratta però di un romanzo, ma di un concreto sistema totalitario che, a differenza di esperienze del passato, ha oggi a disposizione anche un mastodontico apparato tecnologico per esaudire i suoi sogni di controllo e repressione. Tecnologia che non viene impiegata solo in Cina e che spesso è esportata in altri paesi dove viene impiegata senza troppe preoccupazioni per la tutela dei diritti della popolazione. Oggi più che mai ciò che accade a Pechino non resta a Pechino.

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