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Trump scrive libri da decenni, ma per alcuni non sa nemmeno leggere

Giulio Silvano

Lo strano rapporto del tycoon con la carta stampata: dal passato da bestsellerista (col supporto dei ghostwriter) alle insinuazioni di analfabetismo, fino a una casa editrice personale per autori del mondo Maga e una riedizione dalla Bibbia patriottica in finta pelle

Per fare cassa per la campagna presidenziale più costosa della storia, Donald Trump ha di recente pubblicato un nuovo libro. Si chiama Save America e in copertina c’è la foto dell’attentato avvenuto in Pennsylvania dove il candidato repubblicano con l’orecchio sanguinante tiene il pugno alzato. E’ un libro perlopiù fotografico, un coffee table book, e costa 99 dollari. 499 se lo vuoi autografato. Ci sono dentro foto con Kim Jong-Un e didascalie che assomigliano ai suoi tweet. Sotto a una foto di un meeting a Bruxelles, il 45esimo presidente scrive: “Il futuro non appartiene ai globalisti”. In una pagina Trump insinua che la mamma di Justin Trudeau, primo ministro del Canada, abbia avuto una relazione con Fidel Castro. “Un sacco di gente dice che Justin è suo figlio. Lui dice di no, ma come diavolo fa a esserne certo!”. Forse non è solo un modo per togliersi qualche sassolino dalla scarpa o l’ennesimo tentativo di monetizzare – come con le scarpe da ginnastica a 300 dollari o con i pezzi della sua giacca indossata al processo di Atlanta venduti online ai feticisti. Forse Save America è la continuazione di un’opera che va avanti da anni, ultimo frammento di un magnum opus lungo una vita per quello che, sulla carta, è il presidente-scrittore più prolifico di sempre

 

                                   


Per capire il rapporto tra Trump, i libri e la lettura bisogna fare un passo indietro. Quando vinse le primarie repubblicane nel 2016 alcuni giornalisti iniziarono a notare qualcosa di strano. Nel suo ufficio di New York non c’erano libri. Solo pile di riviste, e tutte con la sua faccia in copertina. Ancora prima della discesa in campo – avvenuta su una scala mobile – Trump aveva qualcuno nel suo entourage che doveva leggere ogni mattina tutti articoli dove compariva il nome del boss e metterci un post-it, in modo che lui non fosse costretto a scorrere pagine che non lo riguardassero. Nel suo ufficio, notarono i giornalisti, non c’era nemmeno un computer. Solo lattine di Coca-Cola light, premi, trofei di golf, sacchetti di carta del McDonald’s – il suo pasto preferito: patatine e Big Mac senza cetriolino. Una volta entrato alla Casa Bianca le persone che lavoravano con lui hanno iniziato a notare qualcosa di strano: non leggeva i report che arrivavano dal dipartimento della difesa o dall’Fbi. Non leggeva file top-secret sul nucleare, sull’Iran o sulla Nato. Si lamentava: sono troppo lunghi. Qualche volta, chiedeva che gli venissero riassunti, a voce. Col tempo a Pennsylvania Avenue hanno capito che per far sì che li sfogliasse dovevano ridurli a una pagina e infilarci dentro il suo nome come esca. Più volte appariva il nome di Trump più lui rischiava di tenere il foglio in mano per qualche secondo. Alcuni, mentre uscivano queste storie, si sono chiesti se il miliardario, star di un programma reality, proprietario di business di ogni sorta, don Giovanni della Manhattan degli anni 80, laureato in un’università dell’Ivy League, nepo baby del real estate, fosse in grado di leggere. E’ possibile arrivare a domandarsi se il presidente degli Stati Uniti sia o meno un analfabeta? 


Quando uscì il libro di Fuoco e furia. Dentro la Casa Bianca di Trump di Michael Wolff, venne fuori il ritratto di una persona che ha difficoltà davanti alla parola scritta. “Trump non leggeva. Non scorreva nemmeno le pagine. Se qualcosa era stampato in lettere, per lui poteva anche non esistere. Alcuni credevano che, alla prova dei fatti, fosse poco più che un semianalfabeta”, scrive Wolff. In sua difesa qualche assistente politico disse che la preferenza per immagini e grafici nei report governativi veniva dal fatto che “Trump è un costruttore. Gli piace visualizzare le cose. Ha passato tutta la vita a guardare render architettonici e planimetrie”. Quando Joe Scarborough del Washington Post chiese con insistenza al presidente se sapesse leggere lui ripose: “Spesso leggo la Bibbia”. Non è mai riuscito, però, a tirare fuori un versetto a richiesta


E’ strano pensare che l’uomo che possiede i codici nucleari non sappia leggere. Trump sicuramente sa leggere, anche perché non potrebbe altrimenti scrivere tutti quei Tweet. Ma non può essere certo considerato un lettore forte. La sua ex moglie, Ivana, morta due anni fa, in un’intervista a Vanity Fair del 1990 diceva che il marito, allora un semplice tycoon, adorava leggere i discorsi di Adolf Hitler che teneva sul comodino. Ci sono stato presidenti bibliofili appassionatissimi come Thomas Jefferson, che ha gettato le basi per la Library of Congress, che spendeva ogni centesimo in libri per poi essere costretto a venderli – per poi comprarne altri – e che commentava testi di Virgilio e Milton e citava a memoria Platone e Voltaire. Leggeva in latino, in greco e in francese, e qualcosina – Dante – anche in Italiano. “Non posso vivere senza libri”, diceva in una lettera a un altro presidente lettore forte, l’amico John Adams, frase ora abusata sulle tazze e sulle sportine in vendita nello shop della biblioteca di Capitol Hill. Lincoln da ragazzo veniva preso in giro perché, durante la sua infanzia contadina nel Kentucky rurale, teneva sempre il naso appiccicato a un libro – adorava Shakespeare. Barack Obama ha addirittura un seguitissimo book club dove condivide le sue reading list stagionali che vanno da Jennifer Egan a Kazuo Ishiguro, fino a Sally Rooney e Mark Twain, “il più essenziale degli scrittori americani”, liste che hanno il potere di cambiare le classifiche. Richard Nixon, quando si dimise, ci tenne a dire in un discorso di addio al suo staff: “Non sono scolarizzato, ma i libri li leggo”; il suo scrittore preferito era Tolstoj. E ci sono stati presidenti meno intellettuali certo – Ronald Reagan leggeva i romanzi di Tom Clancy prima di andare a negoziare con i sovietici, JFK leggeva Ian Fleming e diceva che James Bond gli avrebbe fatto comodo con la crisi dei missili di Cuba, Andrew Jackson era analfabeta fino a che sua moglie non gli insegnò a leggere quando aveva 17 anni – ma mai nessuno ha avuto un rapporto così bizzarro con i libri come Trump. 


Questo perché nonostante lui abbia ammesso di passare pochissimo tempo con i volumi di carta, “perché non ho tempo”, preferendo di gran lunga la tv, Trump è stato uno scrittore prolifico, nonché un bestsellerista di successo. Questo forse spiega un motivo in più per cui ha scelto come candidato alla vicepresidenza il millennial J. D. Vance, antipatico ai più, ma diventato famoso grazie alla pubblicazione di un libro. Quello dei libri è stato uno dei business in cui Trump ha avuto più soddisfazioni, se pensiamo alla bancarotta dei suoi casinò di Atlantic City, o al fallimento della Trump University o alla tragedia delle bistecche griffate. Trump: The Art of the Deal, con la sua immagine in copertina, pubblicato nel 1987, un po’ memoir un po’ guida per fare affari, restò al primo posto della classifica del New York Times per 13 settimane, e per oltre un anno mantenne una posizione nella lista. “Il mio secondo libro preferito dopo la Bibbia”, ha detto l’ex presidente. Oltre un milione di copie vendute nell’edizione con copertina rigida. Tutto era partito da un profilo sulla rivista GQ. Il libro fu tradotto anche in Italia, da Sperling & Kupfer, con il titolo L’arte di fare affari. Se ne trova una copia su eBay a 170 euro. 


Da lì in poi il tycoon ha iniziato a sfornare cartonati, soprattutto sul come fare i soldi, raccontando delle sue origini nel Queens, di come gestiva le riunioni e l’acquisto di terreni, infilandoci foto dei suoi matrimoni e delle sue palazzine, con liste sul cosa fare e non fare quando si cerca di diventare miliardari. In uno di questi, Trump: Surviving at the Top, scrive nella prefazione che “a riguardare indietro, la scrittura di Art of the Deal è stata una delle esperienze più soddisfacenti e appaganti della mia vita”. Alcuni hanno a che fare col real estate, altri, come Trump: How to Get Rich sono in realtà stati fatti per pubblicizzare il suo programma tv, The Apprentice, che lo renderà ancora più famoso. Nel 2011 esce addirittura un romanzo, firmato da Trump insieme a Jeffrey Robinson, autore delle biografie ufficiali di Grace Kelly e Brigitte Bardot. Si chiama Trump Tower, il luogo dove è ambientato. Qui una versione romanzata di Trump fa da protagonista, mentre nel grattacielo si vedono diverse scene erotiche e lotte familiari per vivere nel lusso. Una sorta di Harmony griffato Trump ambientato nella sua casa coi rubinetti d’oro.


Nel 2015 con un post di Twitter il ghostwriter di Art of the Deal Tony Schwartz ha fatto coming out. Dice che si pente di aver fatto quel lavoro, ma che aveva bisogno di soldi. 250 mila dollari di anticipo, e poi qualche milione guadagnato nel tempo con le royalty. Ha detto che se lo dovesse riscrivere oggi lo intitolerebbe Il sociopatico. Anche se Trump aveva dichiarato che elaborare quel testo era stata “una delle esperienze più soddisfacenti e appaganti” della sua vita, dal racconto di Schwartz viene fuori che il miliardario non ha mai scritto nemmeno una riga. Schwartz ha raccontato che, portate le bozze al miliardario, lui non avrebbe modificato nemmeno una virgola, chiedendo soltanto di togliere alcuni nomi di businessman rivali. Dopo l’ingresso in politica da Art of the Deal è stato anche tratto un film parodico uscito online dove Johnny Depp interpreta Trump. In una scena Trump-Depp introduce il quinto capitolo: “l’arte di sposare una bellissima immigrata” e poi si vede il matrimonio con Ivana, nel 1977, dove il testimone di nozze è Alf, l’alieno della sitcom degli anni 80.


Forse troppo preso dalla politica, dopo un manifesto lanciato l’anno della prima candidatura, i libri di The Donald sono stati meno celebrati, trasformati sempre più in prodotti per il fan sfegatato che lo ordina online tornando a casa da un suo comizio, tutto infervorato, e poi lo lascia a prender polvere. Celebrazioni della sua persona, dove la scrittura lascia sempre più spazio alle fotografie. Non c’è nemmeno più bisogno di pagare un ghostwriter. Quello prima di Save America, uscito a settembre, si chiama Letters to Trump ed è una collezione di missive ricevute negli anni, da Michael Jackson a Richard Nixon, da Macron a Bolsonaro, e ovviamente l’amicone nordcoreano. Ma è soprattutto un libro-vendetta perché vuole mostrare le belle parole nei suoi confronti di chi, prima della politica, lo trattava come amicone, tipo Alec Baldwin e George Lucas. Dentro ci sono commenti infantili di Trump su varie personalità come l’ex senatore repubblicano John McCain – “Non mi piaceva nemmeno un po’” – o Henry Kissinger – “è stato molto sleale con Nixon”. E’ disponibile sul Trump Store a 100 dollari. Quello ancora prima, Our Journey Together, libro fotografico degli anni a Washington – anche qui, molti gli amici dittatori sorridenti vicino a lui – gli aveva fatto guadagnare in un anno quasi 6 milioni di royalty. Qualcuno scherza dicendo che ha letto meno libri di quanti ne abbia scritti.


Queste ultime fatiche letterarie sono pubblicate dalla casa editrice che il figlio Donald Jr ha fondato nel 2021, Winning Team Publishing, dopo che le big five dell’editoria avevano rifiutato la pubblicazione di un’autobiografia del papà. Quasi self-publishing, quasi come il primo volume della Recherche o l’opera prima del generale Vannacci. Winning Team pubblica libri di vari supporter di primo piano del mondo Maga, come l’autobio della bionda dell’Alt-Right Marjorie Taylor Greene che spinge la dottrina America First (criticato perché stampato in Canada) o un saggio di Don Jr sul privilegio dei progressisti intitolato La difesa dell’indifendibile di Joe Biden e dei democratici. Nelle settimane primaverili in cui i processi gli stavano prosciugando il patrimonio, Donald ha anche iniziato a vendere bibbie – “il suo libro preferito” – in un’edizione in falsa pelle con sopra la bandiera americana e dentro il testo della canzone country God bless the USA, ufficioso inno patriottico dei repubblicani dai tempi di Ronald Reagan. 


C’è un’ennesima spia che ci fa capire quanto volumi di carta, seppur non letti e forse nemmeno scritti, siano così importanti ancora oggi nel mondo, per lasciare qualcosa di sé. Nonostante l’IA e la fine del libro, tutti vogliono essere elevati ad autori. E’ servito infatti un libro per far uscire Melania Trump dal suo autoimposto esilio. Dopo che la storia del tradimento di Trump con l’attrice per film hard Stormy Daniels è diventata pubblica, e dopo una sempre maggiore estremizzazione del movimento Maga, Melania, la terza moglie, ha smesso di stare accanto al marito. Quasi completamente assente da questa campagna elettorale, non si vedeva più nei comizi, nelle conferenze stampa e nemmeno in tribunale, diventato un catwalk per la sua sfilza di fedeli. Ora però l’ex first lady è tornata, e il ritorno sulle scene sembra avere a che fare solo con l’industria libraria, o con le ambizioni letterarie. Il suo memoir uscirà a inizio ottobre e lo sta già pubblicizzando con strani video, video in bianco e nero da pubblicità di un profumo dove indossa una giacca di tweed e, socchiudendo gli occhi come un modello di Zoolander, dice che lei spiegherà “la verità” su tutto quello che è successo. “Possa la vostra esperienza nella lettura di questo libro essere godibile quanto lo è stato per me il processo di scrittura”, ha scritto sui social. L’editore dice che “oltre a dozzine di pagine di foto, ci saranno ‘storie personali’ mai condivise col pubblico”. Qualche personaggio di 1984 di Orwell diceva che “I libri migliori sono proprio quelli che ci dicono quel che già sappiamo”. 

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