Foto Ap, via LaPresse

nel Regno Unito

Il memoir “sguinzagliato” di Boris Johnson piomba sul futuro dei Tory

Cristina Marconi

Nella sua autobiografia, l'ex premier difende il suo operato nella gestione del Covid e della Brexit tra battute un po’ cringe, toni epici e uno sforzo accanito per farsi rimpiangere

Le memorie di un uomo “sguinzagliato”, di un leader che ha fatto della gaffe un manifesto elettorale e della negligenza giocherellona un brand di successo: Unleashed, l’autobiografia di Boris Johnson, è una specie di ritorno a un passato serissimo in cui qualcuno – lui – continua a ridere sperando che il suo invito a sdrammatizzare possa suonare ancora un po’ attuale. Brexit e Covid, Covid e Brexit sono le due occasioni storiche su cui l’ex premier difende il suo operato tra battute un po’ cringe, toni epici e uno sforzo accanito per farsi rimpiangere.

Negli estratti pubblicati dal Daily Mail in attesa dell’uscita, il 10 ottobre, rivendica innanzi tutto la sua Brexit, quell’euroscetticismo funambolico ed epidermico – l’ha inventato lui, d’altronde, a colpi di storie sulla curvatura delle banane – che ha abbracciato per amore di coerenza, nonostante il povero David Cameron che lo minacciava di “fotterlo per sempre” se avesse sostenuto la Brexit. Ma per lui “quello era il momento della verità”: rendere il Regno Unito libero, davvero democratico, capace di fare le sue leggi. Quando è entrato in scena, nel 2019, la gente pensava che i brexiters fossero ormai “concime per le margheritine”, mentre lui ha cercato di avvicinarsi prima a una gelida Angela Merkel, e poi allo stimato Emmanuel Macron, con cui voleva creare un asse anglo-francese, esponendosi a rifiuti e vendette. “Io non volevo assolutamente, realmente, profondamente un’uscita dalla Ue senza un accordo”, ma quando si negozia “bisogna essere disposti a uscire dalla stanza”, racconta Boris, e la gente “riteneva che fossi abbastanza pazzo da farlo”.

Johnson riserva colpi per tutti, per Theresa May e le sue narici “lunghe, appuntite e nere”, visione ipnotica durante i loro incontri, per Keir Starmer che sembra “un bue a cui hanno infilato un termometro a sorpresa nel deretano”, per “Amal Clooney, moglie del testimonial di caffè George”, nelle pagine di un libro che suona come la grande richiesta d’amore di un narcisista vorace, pieno di storie mirabolanti, come l’idea di invadere i Paesi Bassi per recuperare dei vaccini stipati in un capannone, o il tentativo di bloccare la Megxit, dopo che qualcuno aveva avuto l’intuizione che un discorso “da uomo a uomo” potesse convincere il principe a non partire per il Canada.

E poi la stagione del Covid, che l’aveva ridotto “color maionese” e che stava per farlo fuori, come Pericle con la peste ad Atene, e che l’ha visto – dice lui – fare la cosa giusta, guidare il paese verso una strategia dei vaccini possibile solo grazie alla Brexit. Se il paese si è salvato, lui invece ha perso, a causa di un complotto, il partygate, “l’evento più esangue della storia dei festeggiamenti umani”, opera del suo “vecchio amigo Dom Cummings”. 

Unleashed arriva nel momento in cui i Tory cercano di capire cosa sia rimasto dell’anima del partito. Da una parte c’è la gara a chi è più serio tra Cleverley e Tugendhat e Jenrick e dall’altra c’è Kemi Badenoch, la favorita ma anche quella che rischia di più. Memore della lezione dello scatenato Johnson, cerca la polemica, si gode i riflettori, parla a chi si risveglia solo davanti alle provocazioni. Il successo di Unleashed sarà un buon modo per capire se funzionano ancora.  

Di più su questi argomenti: