Ansa

L'editoriale dell'elefantino

Il rispetto che si deve a Bibi e Zelensky, capi di paesi e popoli in guerra di autodifesa

Giuliano Ferrara

Ci vorrà parecchio tempo per giudicare gli effetti strategici della resistenza ucraina e della controffensiva israeliana in medio oriente, ma imparare il rispetto e una considerazione lucida e disincantata del comportamento dei leader in guerra, dei comandanti in capo, sarebbe una misura di giustizia

Il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina per assoggettarla, per distruggerne indipendenza e libertà. Il 7 ottobre del 2023 Hamas, braccio armato dell’Iran, ha varcato il confine di Gaza e messo in atto un pogrom contro gli ebrei, per dimostrare con la ferocia dei predoni, mentre li uccideva e li sequestrava, che gli ebrei di Israele possono essere distrutti. Zelensky e Netanyahu erano in quei momenti al potere a Kyiv e Gerusalemme, eletti dai loro popoli e parlamenti. Da due anni l’uno, da un anno l’altro, sono capi di paesi e popoli in guerra di autodifesa. Sono costretti a procurarsi e a impiegare armi, si battono per consolidare alleanze rese precarie dalle conseguenze dell’escalation bellica cui sono stati sottoposti i loro paesi. Di Zelensky si sapeva quasi nulla, salvo che era un attore comico e un ebreo ucraino al quale fu offerto in prima battuta un passaggio blindato per Washington, rifugio sicuro, che aveva rifiutato dicendo che non gli serviva un taxi ma un set di armamenti per difendersi. Di Netanyahu si sapeva tutto, e tutto era considerato discutibile, a partire dalla maggioranza di destra che gli era servita per restare premier dopo quattro elezioni consecutive (ora il suo partito, il Likud, fa maggioranza aritmetica alla Knesset anche senza i due partiti suprematisti di Ben Gvir e di Smotrich). Zelensky ebbe una fiammata di popolarità mondiale, parlò davanti a tutti i parlamenti del mondo libero, fece della sua clandestinità iniziale nella capitale assediata lo strumento per una riscossa nazionale inaudita e intorno a lui si organizzò una vasta coalizione euroatlantica, e oltre, per fronteggiare molossi come la Russia e la Cina , e cani da riporto come gli stati canaglia coreano del nord e ceceno, più altri della rete terroristica mondiale, compreso l’Iran degli ayatollah.

A poco a poco di questo leader di guerra, che le circostanze, la viltà dell’opinionismo, e certe forze ostili alla rivoluzione dei rapporti di forza comportata dalla guerra russa in Europa, facevano sembrare sempre più l’ostacolo per il negoziato, il cessate il fuoco, la pace a spese dell’Ucraina, un premio all’espansionismo neoimperiale dell’autocrate Putin, un insulto a centinaia di migliaia di caduti in battaglia, si è appiccicato un alone di diffidenza, con il contorno della calunnia: costretto a parlare sempre di armi, che gli venivano fornite con il contagocce e la clausola dell’inutilizzabilità oltre il confine del suo paese, cominciava a sembrare un mercante d’armi, di brutture, un uomo in guerra punto e basta, l’ostacolo al ristabilimento della pace e della prosperità economica, energetica, finanziaria. 

Di Netanyahu ricordiamo che fu subito considerato il responsabile del 7 ottobre, come se la strategia di contenimento di Hamas e l’affidamento della sicurezza nazionale anche ai confini tecnologici e alla formidabile intelligence, mentre si perseguiva la pace con gli stati arabi ostili alla rivoluzione islamica di Teheran, fossero mattane personali di un incapace, di un ambizioso, anzi di un maniaco dell’ambizione, di un primo ministro corrotto che inseguiva sogni di snaturalizzazione del carattere laico e democratico dello stato di Israele, che provocava lui una guerra invadendo Gaza e bombardando Hamas e che si faceva scudo dei suoi abitanti e degli ostaggi, Sinwar esplicitamente contando sul sangue e la martirologia per devastare leadership e schiena dorsale del paese che vuole annientare, dell’etnia che vuole sradicare in nome del fanatismo e degli associati iraniani e Hezbollah e yemeniti e siriani. Ci hanno inculcato per terribili dodici mesi, ben piantato nella nostra testa, uno schema univoco: Netanyahu sbaglia, ha le mani lorde di sangue palestinese e israeliano, ma non solo, sbaglia per gola, perché fa la guerra e promette la vittoria impossibile su Hamas e su Hezbollah sacrificando la pace, i bambini palestinesi, gli ostaggi israeliani ai suoi interessi personali di leader in difficoltà, uno che meriterebbe i tribunali internazionali e la galera nel suo paese. Non solo le nostre sciacquette, ma anche i Tom Friedman e altri autori di bellurie ragionavano, si fa per dire, a questa maniera. Persuaso che fosse troppo presto per dare un giudizio sulla Rivoluzione francese, uno statista eccezionale come Zhou Enlai direbbe oggi che ci vorrà parecchio tempo per giudicare gli effetti strategici della resistenza ucraina in Europa e della controffensiva israeliana in medio oriente, sotto Zelensky e sotto Netanyahu, ma imparare il rispetto e una considerazione lucida e disincantata del comportamento dei leader in guerra, dei comandanti in capo, sarebbe una misura di giustizia, per riprendere la frase di Joe Biden sulla fine del capo terrorista Nasrallah.
 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.