spie e tecnologie
Il sostegno ad Assad ha reso Hezbollah più debole
La guerra in Siria è diventata un boomerang per il Partito di Dio. E Israele ne ha approfittato. Il precedente del 2015 che aveva allertato Nasrallah
“Nessun partito del calibro di Hezbollah, in termini di dimensioni e organizzazione, sarebbe in grado di restare forte contro il rischio di essere infiltrato”. Era il 2015, e il numero due di Hezbollah, Naim Qassem, ammetteva pubblicamente che il Partito di Dio non era impenetrabile come si credeva. Pochi giorni prima, Hezbollah aveva catturato una spia del Mossad che ricopriva una carica di rilievo nelle fila dello stesso Partito di dio. Allora, il caso di Mohamad Shawraba, così si chiamava la spia, fece scalpore perché l’uomo comandava l’unità responsabile delle operazioni all’estero, come l’acquisto di armi o il riciclaggio di denaro usato poi per acquistare componenti tecnologici. L’arresto di Shawraba costrinse Hassan Nasrallah in persona a chiarire che “episodi del genere non devono accadere, ma se accadono sono parte della guerra contro Israele”. Meno di dieci anni dopo, la penetrazione israeliana tra i gangli del gruppo terroristico ha finito per decimarne la leadership e uccidere Nasrallah.
Dal 2012 a oggi, Hezbollah ha vissuto una trasformazione radicale, passando da una rete di poche cellule operative principalmente in Libano a un’organizzazione di grandi dimensioni, capace di operare anche all’estero. Un’organizzazione talmente complessa che per finanziarsi e armarsi necessita di più fonti di approvvigionamento difficili da controllare, tutte legate a traffici illeciti, come quelli della droga e delle armi. Un sistema voluto dallo stesso Nasrallah, ma che ha finito per mettere a repentaglio l’inscalfibilità del gruppo.
Domenica scorsa il Financial Times ha scritto che la penetrazione di Hezbollah a opera delle spie israeliane è stata il prezzo da pagare per il suo coinvolgimento nella guerra in Siria. E proprio il sostegno offerto a Bashar el Assad, secondo gli esperti citati dal quotidiano britannico, ha aperto inevitabilmente delle falle nel gruppo libanese. La testa dell’organizzazione non è più riuscita a sorvegliare adeguatamente sulla disciplina di chi operava alla base, una base ampia dove risiede buona parte del potere di Hezbollah perché è quella che riconosce la legittimità necessaria ai vertici politici e militari del gruppo. “Si tratta di pochi casi limitati”, assicurava Qassem nel 2015 ma le cose andavano molto diversamente e la leadership di Hezbollah era consapevole che il caso di Shawraba poteva aprire le porte a tradimenti dalla portata ancora più devastante. Così l’attenzione generale per prevenire le infiltrazioni era aumentata e negli ultimi anni gli annunci di arresti di spie israeliane che erano state individuate da Hezbollah erano sempre più frequenti.
Se da un lato la Siria è stata la palestra dei miliziani sciiti, il luogo in cui si sono addestrati per operare in uno scenario di guerra aperta contro altri terroristi islamici e contro oppositori al regime, dall’altro è stato dove gli errori commessi hanno messo a repentaglio l’esistenza di Hezbollah. Il primo è stato quello di svelare pubblicamente informazioni sensibili sull’identità dei suoi membri. I manifesti che commemorano i caduti nella guerra in Siria e diffusi da Hezbollah non rivelano solamente il nome del “martire”, ma anche quello della sua città natale. Una volta pubblicati sui social network, i post diventano involontariamente delle esche che attraggono le interazioni di account ricollegabili a parenti e amici della vittima. Il Mossad monitora queste attività online ed è riuscito così a ricostruire la composizione di un pezzo della rete del Partito di Dio: chi ne fa parte, chi lo sostiene, da dove viene e chi è più facile da corrompere. Il resto lo hanno fatto in questi anni le infiltrazioni di agenti, ma anche l’uso di tecnologie molto evolute, come l’intelligenza artificiale, che è servita a selezionare i dati più importanti nella sconfinata mole di materiale accumulata. Una volta in Siria, Hezbollah ha poi dovuto estendere la sua rete di comunicazione per potersi coordinare con i suoi alleati siriani, russi e iraniani. Più questa si è ingrandita, più si è resa vulnerabile, come ha dimostrato l’esplosione dei cercapersone e dei walkie-talkie da parte di Israele.
La guerra in Siria ha permesso a Israele di conoscere meglio il suo nemico, che da mero gruppo terroristico, si è rivelato agli occhi del Mossad per quello che è veramente sul campo: un esercito sostenuto da una fitta rete militare e politica a livello sovranazionale. Un’entità complessa, persino troppo, per illudersi di poterne nascondere i segreti restando rintanati in un bunker nella periferia di Beirut.