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L'intervista

Non soltanto Hezbollah: adesso serve una strategia per mettere Hamas con le spalle al muro

Fiammetta Martegani

La Striscia è lo stato di Hamas, va capito questo per far finire la guerra. Parla l'ex generale israeliano Eiland, già capo del Consiglio di sicurezza nazionale e ricercatore senior presso l'Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale

Tel Aviv. Mentre continua lo scontro  tra Israele e Hezbollah e l’Iran sembra fare un passo in avanti e due indietro, il Foglio si è confrontato con l’ex generale Giora Eiland – in passato capo del consiglio di sicurezza nazionale e ricercatore senior presso l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale – oggi presenza quotidiana dei dibattiti televisivi nazionali, talvolta criticato per via delle sue posizioni considerate rigide, specie dalla storica “sinistra” israeliana di cui, fino al 7 ottobre, lui stesso faceva parte: “Se il tema in questione è quello degli ostaggi, mi considero ancora di estrema sinistra, perché dal mio punto di vista andava fatto immediatamente uno scambio di tutti gli ostaggi con tutti i prigionieri palestinesi. Tuttavia, se questo scambio non è mai avvenuto, non è certo solo a causa del nostro governo, ma anche a causa di Hamas e gli altri paesi coinvolti. Per tanto, se uno scambio del genere è ormai da un anno che non va avanti  è necessario procedere con un altro tipo di paradigma, specifico, perché Hamas non è Teheran”.
 

Come suggerisce Eiland, l’eliminazione  di Hassan Nasrallah e di altri vertici di Hezbollah ha dimostrato la debolezza del gruppo terrorista e del suo controllo da parte di una piovra la cui testa è situata in Iran ma i cui tentacoli agiscono in modo  autonomo: “Se ogni fronte è ormai indipendente, l’unico modo per eliminare Hamas non è la pressione militare, che ha già distrutto la maggior parte delle infrastrutture del gruppo terrorista, ma una pressione sul piano ‘umanitario’”. La dottrina raccomandata da Eiland si discosta sia da quella “per gradi” proposta dalla Casa Bianca, sia dalla presunta “vittoria totale” portata avanti dal primo ministro Benjamin Netanyahu, e consiste nel mettere al muro Hamas non con la forza, bensì con la restrizione di aiuti umanitari che, fin dal primo giorno in cui hanno fatto ingresso nella Striscia, sono sempre stati controllati, regolati e venduti a caro prezzo sul mercato nero dagli stessi dirigenti che, attraverso questo cortocircuito economico – è stato calcolato un profitto di mezzo miliardo di dollari in meno di un anno – sono sempre stati in grado di  arruolare altri miliziani: “Israele invia rifornimenti giornalieri di cibo, medicinali e carburante che vengono distribuiti dagli stessi guerriglieri. Andrebbe invece separata l’intera parte settentrionale della Striscia, adibita a diventare l’unica zona militare, interrompendo le comunicazioni tra guerriglieri e popolazione, che andrebbe  evacuata al sud, nella zona ‘neutrale’ di al Mawasi. Solo in questo modo, dopo aver eliminato completamente Hamas, la popolazione potrebbe rientrare ed essere governata dall’Autorità palestinese  come auspicato dagli Stati Uniti”.
 

Eiland aveva inoltrato questa proposta al premier quasi un anno fa, ma non era riuscito a convincerlo. Nel corso di questi mesi, sia al governo sia all’opposizione sono sempre più i parlamentari che vedono in questa “dottrina” l’unica via di uscita per un’impasse che dura da ormai un anno: “È questione di tempo. In questo momento tutte le forze sono concentrate sul fronte nord. Tuttavia, il conflitto con Hezbollah, a causa del presumibile dietrofront da parte di un Iran sempre più indebolito, potrebbe durare meno di quello che si teme, non appena verrà proposto un accordo diplomatico che garantisca, attraverso il controllo di forze internazionali, il ripristino di una zona cuscinetto che possa permettere agli oltre 80.000 cittadini israeliani evacuati quasi un anno fa, di tornare nelle loro case al nord. Giunto questo accordo con Iran e Hezbollah, Israele si troverà comunque  impegnata con gli altri sei tentacoli”.
 

Eiland ricorda come siano ancora aperti i fronti con Siria, Iraq, Yemen, Cisgiordania e Giordania, il cui governo è in ottimi rapporti diplomatici con lo stato ebraico ma al cui interno sono sempre  in aumento gruppi terroristi affiliati all’Iran, che vivono in un paese il cui confine con Israele è completamente aperto. “Mentre Teheran, dopo l’operazione dei cercapersone, si è reso conto di rischiare di compromettere l’intero l’arsenale militare armato nel sud del Libano negli ultimi trent’anni, gli houti continuano a inviarci missili balistici per dimostrare il loro ruolo sempre più egemonico tra i paesi del Golfo e, a Gaza, Yahaya Sinuar sembra disposto a qualunque cosa pur di non perdere il proprio potere. Per questo strangolare Hamas dal punto di vista ‘umanitario’ risulta l’unica strategia per liberare la Striscia dal gruppo terrorista e instaurare un nuovo governo in quello che, di fatto, è uno Stato a tutti gli effetti”.
 

Secondo l’ex generale, infatti, Gaza, andrebbe vista e trattata non come un’enclave, ma come uno stato “per almeno quattro ragioni: ha confini ben chiari e delineati, un governo centrale efficace, una politica estera indipendente e un proprio esercito. Quindi, de facto, risulta uno stato, non importa se riconosciuto  o meno. Questo concetto va chiarito una volta per tutte. La narrazione secondo cui esiste un’organizzazione terroristica, Hamas, e che tutti gli altri abitanti di Gaza non siano coinvolti, non è corretta. Così come, purtroppo, erano coinvolti nel sistema nazista tutti i tedeschi che hanno vissuto sotto il regime di Hitler. Come i tedeschi allora, anche i gazawi, oggi, sono diventati parte integrante dell’intero ‘sistema  Hamas’. Il 7 ottobre, non solo i guerriglieri, ma anche i civili  hanno preso parte all’attacco. Solo se priva di risorse, Hamas può essere eliminata in modo definitivo”.

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